Damiano Tommasi sindaco di Verona, il miracolo dell’outsider: “È una nuova pagina”

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VERONA – “Damiano alé, Damiano alé”, cantano commossi i ragazzi con le magliette gialle. Incredibile ma vero, a Damiano Tommasi è riuscito il più mancino dei tiri: è il nuovo sindaco di Verona. Mentre scriviamo, stipati come sardine nel suo comitato elettorale sauna, attorno a noi è tutto un abbracciarsi stile Mundial, grida festanti, rullare di tamburi, “Da-mia-no, Da-mia-no”, “non ci posso credere”, “abbiamo fatto la storia”: il senso di incredulità che danno le grandi imprese. Ed è una notte che questi ragazzi porteranno sempre nel cuore: questa è soprattutto la loro impresa.

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Tommaso Ferrari, il leader della lista di giovani Traguardi, intorno alle 23,30 inizia a leggere i risultati che giungono dai seggi. All’inizio sembra che si profili un testa a testa, tuttavia è solo un’impressione fallace. “Ci dispiace, ma siamo a 54 a 46”, dice con slancio ribaldo a un certo punto Ferrari, e lì parte un enorme “sìììììììì!”. È come stare in curva sud. In una sola sezione Federico Sboarina risulta avanti, in tutte le altre Tommasi è in fuga. A metà scrutinio, alle 23,45, il vantaggio si cristallizza. Arrivano le birre. Fratelli d’Italia, il partito di Sboarina, lo sfidante, ammette la sconfitta. “Facciamo un applauso di incoraggiamento”, urla allora Ferrari. La torcida gialla esplode. Un ragazzo urla: “Vi è chiaro che abbiamo vinto?”. Ogni argine alla scaramanzia a quel punto cede: “Sindaco! Sindaco!”.

La destra – dopo vent’anni di dominio incontrastato (nell’ultima elezione il centrosinistra non era arrivato nemmeno al ballottaggio) – finisce così all’opposizione. L’ha sconfitta un ex calciatore di 48 anni, un cattolico di sinistra obiettore di coscienza, un outsider dal carattere riservato e severo. La destra si era presentata divisa, ma la divisione è un demerito, non un’attenuante. A mezzanotte e dieci è ufficiale. “Andiamo a festeggiare il nuovo sindaco”, urla Ferrari. “Damiano sta arrivando”, dicono. Il chierichetto alla fine ha battuto il vescovo che aveva detto che non andava votato. E Damiano arriva, abbraccia moglie e figlia: “Abbiamo mosso un entusiasmo incredibile, facendo politica senza insultare. Abbiamo scritto una nuova pagina”.

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dal nostro inviato
Concetto Vecchio

24 Giugno 2022

È una notte che la sinistra italiana dovrebbe mandare a memoria. Qui ha ritrovato un popolo che le aveva voltato le spalle. Soprattutto nelle periferie l’affermazione è perentoria. Ed è una vittoria che viene da lontano, preparata con cura: Tommasi aveva ufficializzato la sua candidatura già lo scorso mese di novembre. Ha parlato di valori con umanità, ha spezzato la narrazione di Verona nera. E Verona si rivela così un laboratorio politico per il centrosinistra: una lezione. Un candidato fuori dal mazzo, moderato ma anche radicale, che ha saputo conquistare i giovani, ricompattare tutti i partiti della coalizione, senza esclusione alcuna al secondo turno, offrendo “un’idea diversa di politica”.

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Tommasi, 48 anni, ha convinto anche i vecchi, che nel suo tour nei quartieri si affacciavano dal balcone gridandogli tutto il loto entusiasmo. Una signora lo ha fatto entrare in casa e gli ha tirato fuori la scheda elettorale: c’era un solo timbro in trent’anni. “Ma per te tornerò alle urne”. Nella Prima Repubblica Verona era dorotea, nella Seconda la sua anima si è mutata, con la destra che ha lentamente preso il sopravvento nella narrazione.

Federico Sboarina, il sindaco di Fratelli d’Italia, sostenuto dalla Lega, nei giorni scorsi, aveva pubblicato appelli chiamando alle armi anche l’establishment, gridando contro “il pericolo comunista”. Flavio Tosi, l’ex leghista che per un decennio è stato il re incontrastato di Verona, facendo il sindaco per due volte, era l’ago della bilancia, col suo 23 per cento. Sostenuto da Forza Italia, a cui ha aderito, legato da pessimi rapporti personali con Sboarina, si era visto rifiutare l’apparentamento. Il risultato rivela che i tosiani sono andati al mare. Ora Tosi, sconfitto Sboarina, è l’unico leader forte del centrodestra in città.

“C’è una bellezza che dobbiamo ritirare fuori, mi sono sempre piaciute le sfide difficili, io ho vinto un campionato con la Roma, che ne ha vinti solo tre in cent’anni, e ho sempre pensato che nella vita bisogna essere zemianiani: attaccare, rimanendo se stessi”. Non a caso la sua coalizione si chiama “Rete!”. Nessuno, un mese fa, avrebbe scommesso un centesimo su di lui. Lo si immaginava forse al ballotaggio, ma da secondo. Invece la sera del 12 giugno si è rivelato primo, con il 40 per cento.

Il vescovo Giuseppe Zenti ha invitato a non votarlo (“lo sa, vero, che hai fatto il chierichetto a Trigoria?”, gli ha chiesto Dario Vergassola nella festa di fine campagna elettorale), anche se Tommasi è cattolico, osservante, (“prego spesso”), padre di sei figli. Tommasi ha detto che bisogna “portare in politica un metodo nuovo”. Ha fatto una campagna atipica, con pochi manifesti elettorali, un unico slogan (“Ora!”), social parsimoniosi, tutta basata sul contatto con le persone, ascolto diretto, “bisogna guardarsi negli occhi”, diceva. “Vorrei che le persone mi guardassero negli occhi, e si fidassero”. Si sono fidate.

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