Conte e le basi del mestiere
Come vi sentireste se a cinquant’anni passati vi trovaste a fare un lavoro che non è il vostro e che non avete mai fatto? Giuseppe Conte ha voluto provare un secondo brivido, dopo quello dell’esordio in politica direttamente a Palazzo Chigi, andando a guidare il M5S. C’erano molti dubbi sulla sua caratura di leader politico, la crisi di governo li ha tolti. Ora sono certezze. Consigliato dagli ex spin doctor di Di Pietro e Ingroia, coadiuvato dal tandem Casalino-Taverna, ha aperto una crisi senza aprirla fino in fondo, si è contorto in giorni di non decisione nella speranza di poter addebitare ad altri la responsabilità del patatrac, ottenendo alla fine come risultato di non essere nemmeno il protagonista della crisi da lui aperta. Aperta perché poi? Il termovalorizzatore di Roma? Il superbonus? Draghi che sparlava di lui con Grillo? Non lo ha capito nessuna persona dotata di senno e, per dirla alla Crippa, di “intellettualità onesta”.
Voto: 2
(ansa)
Berlusconi, non era Giscard
A molti è capitato di illudersi che Silvio Berlusconi potesse davvero essere diventato Giscard d’Estaing. Da 30 anni autoproclamato leader dei moderati, tuttavia impegnato da sempre a sdoganare la peggiore destra, il Cavaliere ha dimostrato di non aver perso il tocco. Non è cambiata nemmeno la sua propensione a divorare i delfini. Durante il finto matrimonio con Marta Fascina incoronò Salvini come nuovo leader della destra e ieri gli ha concesso il voto anticipato, cosicché sarà ufficiale che a comandare nella coalizione è Giorgia Meloni. Ma a Salvini resterà l’eredità di Forza Italia: Tajani, Ronzulli e i cd di Apicella.
Voto 3
Salvini, l’inutile rivincita del Papeete
Stavolta Salvini ha ottenuto ciò che voleva: tornare al voto, sbarazzarsi di Draghi, di Giorgetti e di tutti quei colonnelli leghisti che vogliono insegnargli come stare al mondo. Ieri in Senato ha festeggiato il risultato con una Coca-cola e il redivivo Durigon, l’uomo al quale scocciava che un parco di Latina fosse intitolato a Falcone e Borsellino anziché al fratello di Mussolini. Dal suo punto di vista, è andata al meglio. Gli è riuscito ciò che era miseramente fallito all’elezione del nuovo capo dello Stato: sfruttare la dabbenaggine di Conte per centrare un risultato personale.
Voto 6,5
(fotogramma)
Meloni, la premier in pectore
Giorgia Meloni è la presidente del Consiglio in pectore, che altro dire? È rimasta lì, ad aspettare che gli altri andassero a sbattere. Tutti, compresi Salvini e Berlusconi, perché è l’unica ad arrivare al voto senza dover rendere conto di scelte rimangiate. Gli servirà coraggio e competenza per guidare un Paese in un momento come questo, e magari meno faccia tosta di quella che l’ha spinta ieri – lei amica ed ammiratrice di Viktor Orbàn – ad accusare Draghi di cercare “pieni poteri”. Non si governa urlando nei comizi. Ma ieri, è inutile girarci intorno, ha vinto.
Voto 7
(ansa)
Il Colle bis di Draghi
Lo accusano di non aver saputo scegliere toni e parole. Può essere, non è un politico e a differenza di Conte non ha scelto di abbracciare un mestiere diverso dal suo. Gli rimproverano di aver svilito il ruolo del Parlamento, spesso gli stessi che considerano un punto di riferimento la Russia, l’Iran o il Venezuela. La verità è che è stata mandata fuori pista una delle migliori risorse italiane, disturbava la campagna elettorale permanente in cui è immerso il Paese. Aveva ambizioni personali? E perché non avrebbe dovuto? Sperava legittimamente di andare al Quirinale, non di fondare un partito personale per entrare in campo dopo essere stato l’arbitro, come fece Mario Monti. Ma già allora Conte e Salvini avevano idee diverse, gli preferivano Casellati e Frattini.
Senza voto (10 alla carriera e allo spirito di servizio)
(afp)
Letta e il Pd senza alleati
Letta è uno dei pochi leader politici italiani la cui parola ha un valore. Non poco. Ha cercato fino all’ultimo di salvare il governo. Esce ammaccato da questa crisi, senza il presidente del Consiglio sostenuto con forza e senza più l’alleato con cui doveva costruire la coalizione anti-destra. Ieri ha giustamente evocato le urne: il Pd non può passare sempre come il partito terrorizzato dal voto. Sarà dura alle elezioni. Paga soprattutto il cinismo e la spregiudicatezza di quella classe dirigente dem che decise a tavolino, dalla mattina alla sera, di trasformare il M5S in una costola della sinistra solo per garantirsi una sopravvivenza e perpetuare l’occupazione delle caselle di governo.
Voto 6