Hanno tutti ragione | “Agenda Draghi”, la scorciatoia dei partiti senza leader e senza programma

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Questa storia della “agenda Draghi” non torna. Ora è pieno di gente che chiede di andare al voto per completare l’agenda Draghi, si uniscano i sostenitori dell’agenda Draghi, chiediamo agli elettori un voto sull’agenda Draghi.

Agenda Draghi suona bene. Non c’è dubbio che il nome nobiliti ciò cui viene accostato. Altrettanto chiaro che nel programma del governo appena caduto ci siano misure e idee che meritano di essere portate avanti e che, più di ogni altra cosa, meriterebbe continuità a Palazzo Chigi l’autorevolezza, la serietà e la competenza di Draghi. Personalmente, avanzo due obiezioni sullo schema draghiani contro resto del mondo o mondo contro resto dei draghiani, come preferite.

La prima è la più scontata. Che senso ha presentarsi al voto con il nome di un leader che non è in campo né intende esserlo? A parte la scortesia di trascinare il presidente del Consiglio uscente in una mischia dalla quale, buon per lui e ahinoi, si è appena affrancato, resta il senso di improvvisazione, l’aggrapparsi a Draghi per evidenti carenze proprie, la furbizia a buon mercato di partiti senza leader o con leaderini troppo litigiosi per sceglierne uno in rappresentanza di tutti, come si fa nelle democrazie normali quando si vota. La scorciatoia non cancella il tentativo maldestro di simulare una unità di intenti e programmi che nemmeno c’è, a meno di non pensare che un anno e mezzo di governo di unità nazionale abbia cancellato le differenze tra Enrico Letta e Giovanni Toti, o tra Andrea Orlando e Maria Stella Gelmini, e si potrebbe andare avanti a furia di coppie mal assortite. Diverso è se il fronte dei draghiani dichiarasse di volersi unire in quanto fronte repubblicano, coalizione dei diversi per fermare la deriva orbaniana dell’Italia. Sarebbe come dire al Paese: siamo usciti da un governo di unità nazionale ma ne serve un altro simile, perché per ricostruire non ci si può affidare alle ricette di una parte, e che parte, la coppia Meloni-Salvini. L’idea può piacere o no – a me più no che sì – ma almeno ha il pregio di non simulare una folgorante convergenza politica tra gente che parla lingue diverse e sarebbe sano continuasse a farlo, in una democrazia che funziona.

Qui veniamo alla seconda obiezione, che è di carattere logico, ma di fatto molto, molto politica. Ammesso e non concesso che si sia formato davvero, e non per eventi accidentali come la crisi di governo, un partito trasversale di Draghi con un’agenda compatta e omogenea, non sarebbe questa una formidabile giustificazione per quei partiti che hanno disarcionato l’ex governatore della Bce? Perché avrebbero dovuto continuare a sostenere un esecutivo che portava avanti il programma di un “partito” a dispetto degli altri? Giustamente, fosse così, avrebbero fatto bene ad alzare i tacchi. Ma così non è.

Come lo stesso Draghi ha ricordato, il governo di unità nazionale è nato per fronteggiare delle emergenze e soprattutto per coprire il vuoto di proposta politica di una legislatura nata male e finita peggio. Poi è ovvio che ogni riforma porta con sé scelte politiche, nessuno governo è neutro. Ma la formula di unità nazionale serviva a mettere buone toppe e Draghi era l’unico, ma proprio l’unico italiano in grado di mettersi alla guida di una maggioranza così variopinta, tirando la coperta un po’ di qua e un po’ di là, garantendo al contempo la prevalenza di alcuni capisaldi non più così scontati dopo le elezioni: la collocazione internazionale, lo spirito europeista, la sostenibilità delle misure. Punti chiave, però insufficienti a fare di Coraggio Italia e dei Verdi due correnti dello stesso partito o due forze della stessa coalizione.

Chi vuole raccogliere il meglio dell’esperienza Draghi deve fare la fatica di riportarla dentro un programma di parte, sostenuto da una coalizione credibile e coesa. Serve lo sforzo di tornare a una proposta con radici culturali vere e non prodotte dall’istante, dal caso, dall’opportunità. Non si va lontano con le formule di laboratorio partorite a un mese dal voto. Se togli Draghi al governo di unità nazionale, non resta un’agenda, cioè un programma elettorale. Se togli Draghi, in verità, resta ben poco.

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