Né M5S né Renzi: le idee di Letta sul nuovo “campo” per sfidare le destre

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Recuperare l’alleanza con il M5S sarebbe incomprensibile e sbagliato. Enrico Letta non sembra avere dubbi. Anche se nel Partito democratico c’è ancora chi spinge per studiare una forma di accordo, e persino tra i grillini non mancano i fautori dell’intesa, il segretario è per tracciare una linea di confine netta. Gli elettori non capirebbero un Pd che chiede un mandato per governare il Paese andando a braccetto con una forza che ha appena accusato di aver “tradito il Paese”. Nemmeno la chiamata alle urne contro il pericolo delle destre sovraniste e putiniane può giustificare un dietrofront. C’è un limite alla decenza politica e agli opportunismi tattici, che pure il Pd ha oltrepassato spesso nella sua storia e mai quanto nel rapporto con il Movimento fondato da Beppe Grillo. Giuseppe Conte, del resto, sembra felice di correre da solo con ciò che resta del M5S. Ma Letta non vuole neanche correre il rischio che il partito si schiacci su un profilo e un’alleanza a trazione centrista. Il campo deve restare “largo”, rappresentare bene tutta la sinistra di governo. Senza M5S sarà comunque più omogeneo e credibile, almeno sulla carta.

(contenuti aggiornati al 21 luglio 2022)

Non c’è molto tempo per chiudere gli accordi e scrivere il programma. Le liste dovranno essere chiuse prima di agosto e la spartizione dei collegi elettorali tra gli alleati è un puzzle complicato e delicatissimo, sbagliare il candidato su un territorio significa regalare un parlamentare agli avversari. Il Pd è uno dei pochi partiti ad avere ancora organismi dirigenti veri, quindi le decisioni sulla coalizione che sfiderà la destra guidata daGiorgia MelonieMatteo Salvinisaranno prese nelle sedi ufficiali, ma è difficile che l’idea di Letta sul M5S incontri grandi ostacoli. Più complicato sarà tracciare i confini sul lato destro della coalizione.

Anche qui il leader dem ha un orientamento: le condizioni per un accordo con Italia viva non ci sono. Le ragioni sono molte, e la più recente è l’ubiquità politica di Matteo Renzi negli ultimi anni, che ha spinto l’ex premier a sostenere il centrodestra in numerose occasioni elettorali. Ma a pesare è soprattutto il passato. Non quello personale, pur ingombrante. Il problema è che per una quota rilevante di elettori la presenza di Renzi in un’alleanza è ragione sufficiente a dirottare altrove il proprio voto. La possibilità che sia negativo il saldo tra voti portati in dote da Iv e voti persi a causa di Iv è molto alta. Quasi una certezza, anche secondo i sondaggisti che hanno espresso un parere sulla questione. Non è però solo una questione di numeri. Separare le strade con l’ex segretario del Pd servirebbe a tracciare un’altra linea di confine, dopo quella con Conte e i suoi, e rimarcare il carattere di novità della proposta.

Per questo il ragionamento su Iv non si applica a Carlo Calenda. Letta è pronto a imbarcarlo. Dipenderà anche dalle scelte del leader di Azione, che potrebbe insistere sull’idea di una corsa solitaria nonostante la rottura tra i dem e i 5Stelle. Un tentativo sarà fatto. Di sicuro l’eventuale rottura con Calenda sarebbe più dolorosa. Le quotazioni gli attribuiscono un consenso che potrebbe risultare decisivo soprattutto nell’attribuzione dei collegi uninominali, che eleggono circa un terzo dei parlamentari. Nei collegi passa un solo candidato, anche pochi punti percentuali dispersi possono spostare la vittoria di qua o di là e Calenda ha sondaggi che lo danno vicino al 5 per cento e una tendenza a salire.

Nel Pd l’eventuale proposta di escludere Renzi incontrerà senz’altro un’opposizione interna più forte, che probabilmente si appellerebbe pure alla necessità di tenere unite tutte le forze che hanno sostenuto il governo Draghi fino all’ultimo. Anche su questo punto Letta è convinto si debba superare un equivoco. Il sostegno al governo Draghi è stato un segno distintivo della stagione di unità nazionale, e sarà rivendicato, ma non può diventare la proposta programmatica o il criterio esclusivo per formare la nuova coalizione. Anche perché un partito con l’ambizione di recuperare una massa elettorale vera non può correre per interposta persona, cioè agitando “l’agenda Draghi” senza nemmeno che Draghi sia in campo. È un errore che fu già commesso dieci anni fa, quando una corrente dem si mise a invocare l’adozione della “agenda Monti” come base del programma. Peraltro, in quel caso alla fine Monti si mise in proprio e divenne un avversario politico del Pd alle elezioni del 2013

Il possibile identikit del “campo” elettorale intorno al Pd vede dunque alla sua sinistra Articolo 1 e il cartello rosso-verde di Sinistra italiana e dei Verdi, alla sua destra Azione e +Europa, se ci staranno. Poi la nuova area liberal-ecologista alla quale stanno lavorando il sindaco di Milano Beppe Sala e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Doveva finire così, che il leader in passato più ostile ai dem è l’unico sopravvissuto M5S nel nuovo centrosinistra

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