Caso Meloni, negli Usa cresce la preoccupazione per una “post-fascista” verso Palazzo Chigi

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NEW YORK – “Il futuro è l’Italia, ed è desolante”. È duro il titolo dell’editoriale che David Broder ha scritto ieri per il New York Times, analizzando la possibilità che Giorgia Meloni diventi il prossimo inquilino di Palazzo Chigi.

Ma proprio nelle stesse ore la newsletter GZero di Ian Bremmer ha pubblicato un commento di Willis Sparks, che si chiede se l’erede della tradizione post-fascista e la campionessa del nazionalismo euroscettico, sia la persona più adatta a fare gli interessi di Roma in questa fase storica così delicata. Infine Foreign Policy si domanda se diventeremo morbidi sulla Russia, con lei premier.

Se tre indizi bastano a fare una prova, Washington qualche dubbio sul collocamento di Meloni ce l’ha, nonostante il suo sforzo di prendere posizioni atlantiste più decise dei filo putiniani Salvini e Berlusconi.

Dall’inizio della crisi Casa Bianca e dipartimento di Stato hanno scelto una linea pragmatica e rispettosa dei processi costituzionali italiani. Perché in genere questo è l’atteggiamento degli Usa verso le vicende di politica interna degli alleati, nonostante i nostri complessi di persecuzione e l’abitudine a vedere complotti planetari dietro ogni angolo, ma anche perché vogliono tenersi aperta la possibilità di collaborare con chiunque vinca le elezioni.

I diplomatici che seguono l’Italia, però, hanno l’obbligo di capire cosa sta accadendo, e cosa possano aspettarsi da un’eventuale premier di Fratelli d’Italia.

Broder scrive da Roma, dove si era già occupato dell’ascesa dei populisti con il libro “They First Took Rome”. Racconta le radici politiche di Meloni, dal Msi a Fratelli d’Italia, passando per An, sottolineando che il suo partito “porta il simbolo adottato dai luogotenenti sconfitti del regime di Mussolini”.

Spiega la sua ascesa dal 4% dei voti presi nel 2018 alla leadership attuale nei sondaggi, con la decisione di restare unico partito all’opposizione di Draghi. Assimila il suo nazionalismo, gli allarmi sul declino della civiltà occidentale, e l’opposizione all’immigrazione, alle posizioni di altre formazioni dell’estrema destra europea, come Vox in Spagna e Le Pen in Francia.

Riconosce la scelta atlantista, ma sottolinea “l’agenda reazionaria” in politica interna. Quindi, riferendosi alle parole del libro di Meloni, conclude così: “Forse non bruceremo tutti insieme nel fuoco. Ma se l’estrema destra dovesse prendere il governo, in Italia o altrove, alcuni di noi sicuramente bruceranno”.

Sparks sottolinea l’adesione di Giorgia allo slogan della “vecchia scuola fascista “Dio, patria e famiglia””, e la volontà di rimediare alla crisi demografica favorendo le nascite, pur di non aprire all’immigrazione per conservare i livelli attuali della forza lavoro.

Poi punta la contraddizione tra il suo atlantismo e l’euroscetticismo, perché non si conciliano bene con gli interessi economici dell’Italia, e quelli strategici degli Usa nella sfida contro le autocrazie.

Quando nel febbraio del 2020 Meloni era venuta a Washington per la riunione dei conservatori al “National Prayer Breakfast”, ci spiegò così il senso della missione: “Sono una patriota, e sono venuta qui come italiana. Questo modo di concepire le relazioni internazionali con l’idea di diventare il burattino di qualcuno non l’ho mai condivisa”.

Aveva sottolineato che “io non ho rapporti con oligarchi russi”, a differenza di Salvini, e aveva aggiunto: “È possibile anche per l’Italia avere un governo che difenda l’interesse nazionale italiano, ma non rinunci ad avere relazioni con il resto del mondo. È esattamente quello su cui lavora Fratelli d’Italia”.

Al dipartimento di Stato ora si chiedono cosa possa significare questo, nel concreto dei rapporti bilaterali, al di là dell’anti americanismo post fascista forse superato. Hanno notato l’atlantismo di Meloni, mentre aspettano ancora di capire dalla magistratura italiana cosa fosse successo all’Hotel Metropol con Salvini e i suoi collaboratori.

L’alleanza in Europa con la Polonia dovrebbe garantire la tenuta sull’Ucraina di un governo guidato da Fratelli d’Italia, anche in coabitazione con Lega e Forza Italia, e il suo nazionalismo difficilmente andrebbe d’accordo con cedimenti di sovranità alla Cina.

L’euroscetticismo però è un problema, tanto per gli aiuti economici che potrebbero mancare all’Italia, quanto perché l’amministrazione Biden ha fatto del consolidamento dei rapporti con Nato e Ue il primo pilastro di partenza della strategia per contrastare la sfida delle autocrazie. Contraddizioni profonde, su cui si aspetta con curiosità la soluzione scelta da Meloni.

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