Giorgia Meloni, il passato che non passa: l’ombra nera mai fugata

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Non ci sarebbe nemmeno bisogno di andare indietro nel tempo. A quando Giorgia Meloni – era il 7 gennaio 2008 – da ministra della Gioventù, quarto governo Berlusconi, si faceva scortare ad Acca Larenzia dal ras neofascista criminale Giuliano Castellino: il leader di Forza Nuova accusato di avere guidato l’assalto squadrista alla sede della Cgil, il 9 ottobre 2021, a Roma. Le faceva l’anticipo, Castellino. Tecnicamente, nel lessico della sicurezza, si dice così. Si può persino trascurare il fatto che fosse lui a portarle l’ombrello perché tanto, volendo indugiare sui dettagli – nitidissimi nei video circolati negli ambienti identitari e cristallizzati dalla rete – Castellino è sempre lì, a un passo. Petto in fuori, la cuffia in testa. Vigila sull’incedere marziale di “Giorgia” che, in veste ufficiale, giunge nella ex sezione del Msi e depone la sua corona di fiori (“il ministro della gioventù”). Dove? Sotto una croce celtica, il marchio di fabbrica.

Il passato che non passa

Cartoline di un passato che non passa. E che porta direttamente a oggi, alla preoccupazione degli Usa e dell’Europa per la corsa di una “postfascista” verso palazzo Chigi. Per raccontare come e quanto Fratelli d’Italia e la sua leader tengano vivo, vivissimo, il legame con la galassia nera (non solo) del nostro Paese, basta stare sul presente. Qui inteso in senso temporale, e dunque non il rito “liturgico” mussoliniano – “presente!”-, con cui i neofascisti, e insieme a loro anche esponenti di FdI, celebrano e onorano i loro morti. “Ho un rapporto sereno con il fascismo”, disse Meloni. Già. Una serenità, pare di capire, direttamente proporzionale ai rapporti, alle relazioni pericolose, alle zone di contiguità tra i sedicenti “patrioti” che si dicono pronti a governare l’Italia, e personaggi e sigle dell’ultradestra violenta e anti-statuale. In una cornice fatta di esibizioni e rimandi fascisti o fascistoidi, esternazioni, proclami razzisti e sessisti. Come quelli che la presidente dei Conservatori e Riformisti europei ha sguainato, il 12 giugno, dal palco di Marbella per sostenere il partito di estrema destra Vox caro ai nostalgici di Francisco Franco (“ho sbagliato i toni”, ha chiosato lei ieri, fingendo di ignorare che il problema erano i contenuti). Giorgia la “nera”? Sì, se si prendono per buone le parole di Steve Bannon. Una “fascista, neofascista”, la benedì l’agit prop dell’assalto al Campidoglio americano condannato per oltraggio al Congresso. Lei accanto, velata di imbarazzo. E FdI? “Uno dei più vecchi partiti fascisti”. Guidato dal “prossimo presidente del Consiglio italiano”, come l’ha introdotta Macarena Olona – candidata, lei, alla presidenza dell’Andalusia.

Ex terroristi e naziskin

Bannon o non Bannon, una cosa è certa: fin dall’inizio, e cioè da quando è nato, anno 2012 – fondatori Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto – il partito che ha ancora nel suo simbolo la fiamma che arde sulla tomba di Mussolini, ha coltivato e intrattenuto relazioni non casuali, alcune assai manifeste, con formazioni e ambienti neofascisti. Se le prime interlocuzioni sono passate sotto silenzio anche per via dei risultati elettorali irrilevanti, mano a mano che il nuovo contenitore iniziava a lasciare più traccia di sé alle urne, ecco spuntare gli altarini. È un cerchio che si apre a Milano e a Milano, in un certo modo, si chiude. Alla festa del partito nel 2018 (FdI alle politiche incassa un 4,3% alla Camera e un 4,26% al Senato, oggi è dato a cinque volte tanto e anche più) interviene come relatore il segretario nazionale di Forza Nuova, Roberto Fiore (ex terrorista nero con Terza Posizione, anche lui arrestato per l’assalto alla Cgil). In scaletta c’è pure un esponente di Memento, costola dei neonazisti milanesi di Lealtà Azione nata dai violenti Hammerskin, che si ispirano all’ex generale delle Waffen-SS Léon Degrelle e a Corneliu Codreanu, fondatore della Guardia di Ferro rumena che collaborò coi nazisti e guidò gli spietati pogrom antiebraici. Da Milano a Milano. 29 aprile 2022. Alla convention di FdI Meloni, in una relazione fiume, improvvisa una gag attoriale per smontare e deridere le accuse di fascismo. Poi snocciola le sue priorità: “Mamma, merito, mare e marchio”. Tutto inizia con la “m”. È il fattore  “M”. “M” come Meloni. Ma anche “M” come Mussolini. La declinazione dell’identità “patriottica” 3.0. Ma mentre “Giorgia” parla, parlano anche i fatti. Milano è stata lo sfondo dell’inchiesta di Fanpage sulla “lobby nera” di Carlo Fidanza e Jonghi Lavarini: saluti romani, razzismo su “negri”, ebrei e migranti; un presunto giro di soldi in nero al partito.

La lobby nera, sono ancora lì

7 ottobre 2021. La Procura milanese indaga per finanziamento illecito e riciclaggio. “Voglio vedere tutte le 100 ore di girato”, tuonò la Meloni, furibonda (coi giornalisti, ovviamente, mica coi suoi). Al centro della vicenda, un suo fidatissimo, Fidanza. Eurodeputato e rappresentante del partito in Europa. Nelle immagini riprese dalla telecamera nascosta di Fanpage Fidanza fa il saluto nazista e scandisce “Heil Hitler”. Goliardia, minimizzerà lui. Certo, come no. La cena elettorale di FdI è per la candidata Chiara Valcepina. Che al netto dei saluti romani della “lobby nera” e dei presunti accordi per lavare denaro, viene eletta in consiglio comunale a Palazzo Marino. Fermiamo un attimo il tempo. Di fronte al clamore mediatico e alla bufera politica che investe il partito Giorgia Meloni interviene promettendo che sarebbe andata a fondo, prendendo eventuali provvedimenti ma solo “dopo avere visto tutto il girato”. Per tutelare l’onorabilità e l’integrità dei “patrioti”, sulle prime pensa addirittura di chiedere a Valcepina di fare un passo indietro e di rinunciare allo scranno di consigliera comunale. Ma quella di Meloni è solo ammuina. Sono passati quasi dieci mesi e non ha fatto nulla. Nessun provvedimento preso. Dopo un’autosospensione farsa, Fidanza (indagato anche per corruzione in un altro procedimento) è ancora saldamente al suo posto a Bruxelles e Strasburgo. Valcepina non ha rinunciato a nulla.

“Combattere e vincere”

Nella storia recente di FdI le cene identitarie sono scivolose e in teoria non portano benissimo: o forse sì, a seconda dei punti di vista (e dei sondaggi). Il 28 ottobre 2019 il partito ne organizza una in grande stile all’hotel-ristorante “Terme” di Acquasanta Terme, provincia di Ascoli Piceno. Tavola apparecchiata per settanta: si celebra la marcia su Roma, l’inizio del fascismo. “28 ottobre 1922… giorno memorabile e indelebile, la storia si rispetta e si commemora”, è scritto sul menù. E ancora: “Camminare e costruire e se necessario combattere e vincere” (firmato Benito Mussolini). E poi: il simbolo del partito; un’aquila; il fascio littorio e la scritta “Dio, patria, famiglia”. Alla cena – rivelata da “Repubblica – ci sono il futuro presidente delle Marche, Francesco Acquaroli, uomo vicinissimo a Meloni, il sindaco di Ascoli Piceno, Marco Fioravanti, e quello che diventerà presidente della Provincia di Ascoli, il coordinatore provinciale Luigi Capriotti. In quell’occasione “Giorgia” perde la verve: silenzio. E silenzio anche quando, a marzo 2021 – è sempre questo giornale a raccontarlo – Gioventù Nazionale, ovvero i giovani di FdI, omaggiano pubblicamente sulla pagina Fb Léon Degrelle, “il figlioccio di Hitler”. Nove mesi dopo la sezione locale di Civitavecchia presenta un libro che esalta la figura del generale Rodolfo Graziani, già comandante dell’esercito di Salò e autore di massacri in Etiopia nel 1937. Dalla Liguria al Lazio alla Campania consiglieri comunali e candidati di FdI si esibiscono in saluti romani: Valeria Amadei tende il braccio in aula a Cogoleto, Ino Isnardi a Ventimiglia. A Napoli dirigenti e militanti mostrano un saluto romano collettivo dietro il tricolore. Lo stesso fa Sergio Restrelli, coordinatore cittadino del partito. Veri patrioti? Meloni non pervenuta, chi tace acconsente. Per lei il saluto romano è (solo) “antistorico”. Non vietato, non inopportuno: semplicemente antistorico.

Da terza posizione al Senato

Eppure le cronache raccontano che, negli ultimi tre anni, FdI e la sua leader non solo non prendono le distanze dalle derive più nere. Ma in alcuni casi, come minimo, non le ostacolano. È un crescendo. Alle elezioni amministrative del 2021 vari candidati si dichiarano fascisti e si presentano col saluto romano. Dov’è il problema?, devono avere pensato. Lo ha fatto anche La Russa: e dove? In parlamento, nel 2017. Si stava discutendo il ddl Fiano. Le vecchie radici. Piantate nella terra di una storia e di una tradizione che è rappresentata plasticamente dalla fiamma tricolore. Proprietaria del logo della fiamma, un tempo simbolo del Msi, è la Fondazione Alleanza Nazionale (nei vertici, La Russa e Gianni Alemanno). Che ogni anno assegna l’onorificenza “Caravella tricolore”. Chi è stato il premiato dell’edizione 2020 (lo ha raccontato “Left”)? Gabriele Adinolfi, militante di Terza Posizione (fondata da Fiore), otto anni di carcere per associazione sovversiva e banda armata. Non proprio un bel biglietto da visita. Ma le sponde, quelle sono. Fondazione Alleanza Nazionale è proprietaria di una serie di immobili. In uno di questi aveva sede, a Roma, Forza Nuova. Il partito neofascista è stato sfrattato. Per parlare di quell’immobile il 28 marzo 2021 Ignazio La Russa riceve in Senato – di cui è vicepresidente -, i pluripregiudicati Roberto Fiore e Giuliano Castellino. La Russa aveva appena finito di incalzare Mario Draghi in aula. Sette mesi dopo quell’incontro a Palazzo Madama Fiore e Castellino guideranno l’assalto alla sede del primo sindacato italiano. Riportando le lancette indietro di cento anni. Al debutto del fascismo.

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