Le parole scelte dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, per annunciare lo scioglimento del Parlamento contengono un chiaro monito alle forze politiche: le emergenze nazionali che il governoDraghi ha affrontato nei suoi 18 mesi di vita sono ancora tutte fra noi e dunque chi si candida alla guida del Paese deve saper proporre durante la campagna elettorale delle risposte efficaci per far fronte al bisogno di sicurezza della cittadinanza, e in particolare delle fasce più deboli.
Le emergenze di cui ha parlato Mattarella sono quattro: la crisi economica e sociale, aggravata dall’inflazione causata dall’aumento dei costi di energia e beni alimentari; la guerra della Russia contro l’Ucraina che mette a rischio la sicurezza europea; l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza da cui dipendono i fondi europei di sostegno; il contrasto ad una pandemia ancora pericolosamente diffusa.
È un’agenda che descrive in maniera cristallina i bisogni della nazione perché spiega i motivi di fondo per cui le famiglie sono più disagiate, molte imprese sono in bilico, gli aiuti europei sono rischio, la nostra salute resta vulnerabile e la sicurezza collettiva è minacciata dall’invasione dell’Ucraina. In attesa di sapere quali ricette i partiti politici offriranno agli elettori su ognuno di questi temi, il Capo dello Stato indica a tutti un metodo: gli interventi dovranno tener conto della “sempre più necessaria collaborazione a livello europeo e internazionale”.
È una frase che nasce dalla consapevolezza che l’efficacia della reazione alla pandemia, del varo del Pnrr e della risposta all’invasione russa vengono dal fatto che l’Unione Europea ha saputo superare le proprie divisioni, diventare più coesa ed agire assieme. Questo è stato possibile anche perché il premier uscente, Mario Draghi, ha interpretato l’interesse dell’Italia come parte integrante dell’interesse europeo ed euroatlantico.
È stata quest’idea dell’Italia protagonista pragmatica dell’Unione Europea che ha spinto Bruxelles a provvedimenti più efficaci contro il Covid, a varare il Pnrr a dispetto degli egoismi nazionali, a unirsi nella reazione all’aggressione a Kiev e, negli ultimi mesi, a iniziare a darsi una inedita politica energetica comune per emanciparsi dalla dipendenza da Mosca. Che può trasformarci nell’hub energetico dell’intera Ue.
Tutto ciò è avvenuto, con ricadute strategiche a vantaggio degli interessi italiani, perché Draghi ha agito molto spesso assieme alla Francia di Macron ed agli Stati Uniti di Biden, assegnando per la prima volta da anni al nostro Paese un ruolo di protagonista delle grandi scelte europee ed atlantiche.
Ora l’interrogativo è se il Parlamento che sarà eletto dagli italiani il 25 settembre riuscirà ad esprimere un governo capace di continuare a costruire su tale approccio, oppure se torneremo indietro fino al rischio di riprendere la umiliante posizione di “grande malato d’Europa” come avvenne dopo il voto del 2018, quando la vittoria di populisti grillini e sovranisti leghisti nelle urne innescò una stagione di gravi crisi e seria instabilità economica.
La preoccupazione, se non lo shock, con cui i Paesi partner ed alleati hanno reagito alla caduta del governo Draghi si spiega proprio con lo scenario del rischio dell’affermazione nelle urne italiane di una nuova coalizione sovranista, questa volta guidata da Fratelli d’Italia e Lega, destinata ad allontanare l’Italia dall’Europa e, più in generale, dalla comunità euroatlantica. Su posizioni simili all’Ungheria di Orbán.
Quanto hanno scritto negli ultimi giorni in una raffica di commenti e reportage quotidiani di orientamento assai diverso come Financial Times, New York Times, Figaro, El País, The Times, The Economist e Die Welt si può riassumere con il dilagante timore che una forza politica “post-fascista” come FdI d’intesa con un leader come Salvini – forse uno dei più vicini al Cremlino nell’intera Ue – precipiti l’Italia nel ruolo di pedina di tutti coloro che vogliono generare scompiglio nel campo delle democrazie.
Sono preoccupazioni che nascono dal fatto che il mandato del governo Draghi non è finito per scadenza naturale, ma è stato fatto terminare nell’aula del Senato per scelta volontaria e consapevole di Meloni e Salvini, con la piena collaborazione dei grillini di Conte e anche di Silvio Berlusconi, che per l’occasione ha tradito ciò che resta delle posizioni dei moderati dentro Forza Italia. Facendo cadere Draghi nel bel mezzo del conflitto ucraino, della lotta alla pandemia e dell’esecuzione del Pnrr Meloni, Salvini, Conte e Berlusconi si sono autoassegnati la responsabilità di un indebolimento politico dell’Europa e della Nato che fa sicuramente piacere a Mosca ma li definisce come portatori di instabilità nell’Ue.
Sono tali premesse a spiegare perché la campagna elettorale che si apre è destinata ad essere seguita con un interesse senza precedenti da Paesi partner, alleati e rivali: trasformandoci nel delicato terreno di sfida fra chi vuole rafforzare l’Unione Europea, adattandola ad affrontare le difficili crisi del XXI secolo, e chi invece potrebbe causarne un serio indebolimento interno. Se è vero che ogni scelta politica in democrazia è figlia e frutto di interessi soprattutto locali, sarebbe un grave errore ignorare le vaste implicazioni europee del voto italiano.