Per 221 volte i partiti dovranno mettersi d’accordo con i loro alleati e tirare fuori dal cilindro il coniglio bianco, cioè il candidato giusto nei collegi uninominali. Qui i nomi fanno davvero la differenza.
Il Rosatellum, la legge elettorale con cui voteremo il 25 settembre, è infatti un cocktail di maggioritario e proporzionale. Quindi 147 deputati, e 74 senatori, saranno eletti nei collegi uninominali (dove vince il candidato che ha preso più voti). Perciò c’è una spinta a coalizzarsi: spuntarla in solitaria in un collegio è più difficile.
Gli altri 245 deputati e 122 senatori sono eletti con il proporzionale (vanno aggiunti i seggi per gli eletti all’estero, che sono 8 per Montecitorio e 4 per Palazzo Madama). Con 345 parlamentari in meno – come ha voluto la riforma-bandiera dei 5Stelle, riducendo da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori – le difficoltà aumentano nella formulazione delle liste di ciascun partito. Anche perché, soprattutto per il Senato, i collegi sono amplissimi. E’ la seconda volta che si vota con il Rosatellum: la prima fu nel 2018, e il risultato non consegnò a nessuna forza politica la maggioranza sufficiente. Ci vollero poi 80 giorni per formare il governo giallo-verde, di Lega e 5Stelle, il primo di questa legislatura che ha poi visto un governo giallo-rosso di Pd e grillini e il governo Draghi di unità nazionale.
Il voto
Dal punto di vista degli elettori, il voto è unico: va alla lista e si riporta al candidato uninominale collegato a quella lista.
I partiti possono presentarsi da soli, in quel caso a una lista corrisponde un candidato o coalizzati (a più liste corrisponde un candidato). Nel dossier preparato dal costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti si pone l’attenzione su due fatti: le coalizioni non hanno programmi o leadership comuni, questi spettano ai singoli partiti; non sono possibili le cosiddette desistenze, dal momento che dove si presentato candidati plurinominali si presentano anche uninominali e viceversa.
Nella parte proporzionale, ci si presenta con liste bloccate corte.
Se l’elettore vota solo il candidato nel collegio uninominale, ed esso è collegato a più liste, il voto è spalmato pro quota tra le diverse liste che lo appoggiano. Fa notare Ceccanti che “il totale dei voti attribuiti alle liste e il totale dei voti attribuiti ai candidati ad esse collegati devono essere identici”.
Per la parte proporzionale i seggi sono spartiti tra le liste e le coalizioni che abbiano superato il 3 per cento. Per la Camera il calcolo è nazionale e quindi il taglio dei parlamentari è pro quota per tutte le liste. Ma al Senato in cui il calcolo è regionale , nelle regioni medio-piccole che hanno pochi seggi, c’è un effetto disproporzionale, perché si viene a creare uno sbarramento di fatto.
I candidati
Un candidato può presentarsi per una medesima Camera (non per Montecitorio e Palazzo Madama insieme) in un solo collegio uninominale e fino a 5 collegi del proporzionale. Se viene eletto in entrambi i sistemi, scatta nel maggioritario. Se invece vince più di un collegio proporzionale, allora risulterà eletto dove quella lista è andata peggio.
Lo sbarramento
Ogni lista ha uno sbarramento del 3% : se non supera quell’asticella, non entra a fare parte del riparto dei seggi. Per le coalizioni lo sbarramento è al 10%, con almeno una lista che abbia superato il 3%. Nel dossier Ceccanti si fa notare che conviene essere riconosciuti come coalizione. Perché? “Perché se ci sono liste che hanno preso tra l’1 e il 3% , i loro voti si riversano pro quota tra le altre liste, altrimenti andrebbero persi.
Italiani all’estero
All’estero si vota con il proporzionale e le preferenze. La riduzione degli eletti impatta alzando di fatto lo sbarramento.