Roma – Tirerà fuori un sondaggio riservato. E lo farà al momento giusto, con un po’ di perfidia. Recita: Giorgia Meloni candidata premier in pectore potrebbe farci perdere le elezioni. O meglio: ci impedirebbe di vincerle. Troppo di destra, tanto da spaventare gli elettori moderati.
“Giorgia – dirà oggi Silvio Berlusconi simulando empatia e affondando la lama – non possiamo permetterci di spaventare il nostro mondo”. È di fatto lo spettro nero agitato dalla stampa internazionale, il timore espresso a Bruxelles nei conciliaboli del Ppe, l’allarme che è rimbalzato anche Oltreoceano. Ed è anche il rischio di perdere i fondi del Recovery, come sottolineava ieri il Financial Times ricordando la caduta di Mario Draghi.
Il nodo dell’immagine pubblica di Meloni è insomma la prima linea della battaglia. Ne ha parlato Antonio Tajani alla Stampa, sostenendo che agli attacchi che arrivano dall’estero la leader deve rispondere “mostrando serietà e dimostrando di essere diversi da come si viene dipinti”. Ieri, poi, ha lambito il concetto anche l’azzurro Maurizio Gasparri: “Il problema della Meloni – ha detto a Metropolis – non è tanto rivendicare il primato della coalizione, ma dimostrare che non è quel mostro nazifascista che Repubblica descrive. Meloni ha 46 anni e credo sia consapevole del problema. Oggi deve chiarire non solo le sue posizioni, che per me non sono nazifasciste, ma dimostrare che la sua è una coalizione equilibrata”. Ovviamente c’è molto altro, dietro all’affondo che programma Berlusconi e che rilanciano i suoi big. C’è innanzitutto un timore concreto: l’estinzione di Forza Italia. In queste ore, nella storica culla azzurra della Lombardia, il partito del Cavaliere perde assessori regionali, ras carichi di voti, tanti piccoli amministratori locali. E smarrisce per strada il sostegno di associazioni di commercianti e imprenditori. Una fuga scatenata dalla scelta di affossare Mario Draghi.
C’è uno scontro di potere furibondo, nella coalizione sovranista. Dopo aver ricevuto in dono da Giuseppe Conte l’occasione della vita, l’ansia di conquista travolge tutti i contendenti. Matteo Salvini è il più felice di tutti. Emarginato per la scelta filo-russa, ha ripreso a frequentare gli interlocutori di Mosca e confida di tornare quantomeno ministro dell’Interno. In realtà sogna di arrivare ancora più in alto, forte di un patto con l’anziano leader di Arcore. Ma servirebbe riuscire a sottrarre la premiership a Meloni.
È il cuore dello scontro di queste ore. L’obiettivo del segretario del Carroccio è imporre un proprio nome (se non addirittura se stesso) per Palazzo Chigi. Il piano, elaborato con Berlusconi, è banale nella sua semplicità. Chiederà a Meloni di affermare il principio che il prossimo premier dovrà essere indicato non dagli elettori – dunque assicurando al partito che prende di più nelle urne l’onere della scelta – ma dagli eletti nel corso di una solenne assemblea di inizio legislatura. Il calcolo è semplice: sommando i parlamentari leghisti, azzurri e centristi (a cui il Cavaliere garantirà qualche seggio) si potrebbe tentare il sorpasso. In modo da poter dire alla leader di Fratelli d’Italia: dispiace, la maggioranza preferisce un altro nome.
A Meloni dispiace invece avere a che fare con Salvini. Non ha nessuna intenzione di assecondare questo schema. Sa che non sarà facile accordarsi, visto che i rapporti con l’ex ministro dell’Interno sono complessi. Ma sa anche che il collante di una possibile vittoria può fare miracoli. L’amica dell’ultra destra spagnola di Vox si presenterà quindi al vertice con due proposte. Primo: a Palazzo Chigi andrà chi prende un voto in più nelle urne. Secondo: per decidere la ripartizione dei collegi dovrà valere la media degli ultimi sondaggi. Quelli più recenti assicurano a Fratelli d’Italia un consenso superiore alla somma di Forza Italia, Carroccio e centristi. E infatti, lo schema di partenza che sottoporrà ai partner sarà: 55% degli scranni dell’uninominale a FdI, 28% alla Lega, il restante 17% da dividere tra azzurri e cespugli di centro. Perfettamente in linea con l’ultima rilevazione Swg, che attribuisce il 25% al partito con la fiamma, il 12,4% al Carroccio e il 7,1% a FI. “Le regole ci sono e vanno rispettate”, ricorda Ignazio La Russa.
Litigano su tutto, nella galassia ormai sovranista a tutto tondo. Salvini e Berlusconi vogliono ad esempio strappare anche un impegno a evitare premier tecnici e, soprattutto, ministri non troppo politici: niente figure alla Giulio Tremonti, per intenderci, o alla Domenico Siniscalco. Ipotesi che sembravano invece intrigare Meloni. E ancora: Berlusconi vuole per sé la presidenza del Senato. E spinge per assicurare ai big che lo circondano a Villa Grande alcuni ministeri chiave, a partire dagli Esteri. Lo stesso chiede Salvini, puntando all’Interno o alla delega ai Servizi per la Lega.
Tutto normale, tutto conseguente alla scelta di mettere fuori gioco Draghi, rinnegando le promesse di stabilità degli ultimi mesi. Una volta compiuto questo primo, traumatico passo (“il solo passo che conta è il primo”, scriverebbe Javier Marìas), la battaglia di Salvini e Berlusconi cresce d’intensità e prende di mira l’antagonista diretta. Che, ovviamente, è pronta a usare ogni mezzo per contrattaccare su ogi terreno possibile. Un primo risultato della leader, soltanto “estetico” ma preteso con forza, è stato quello di sottrarre i summit della coalizione di destra alla cornice berlusconiana di Villa Grande. Oggi i leader si vedranno alla Camera. Così è stato stabilito. Scartando anche la nuova residenza di Salvini, che nel frattempo si è spostato dal centro storico a Roma Nord alla ricerca di una abitazione più grande e con camino gradita alla fidanzata Francesca Verdini.