Letta: “Irreversibile il no ai 5S”. Arriva il nuovo centrosinistra

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ROMA – Nel giorno in cui può coltivare la ragionevole certezza di aver ricomposto il centrosinistra, mettendo in piedi “un’alleanza elettorale” a quattro punte per contendere alla destra i collegi uninominali, Enrico Letta chiama a raccolta gli italiani. Tutti, inclusi gli elettori di centrodestra che hanno a cuore la democrazia e l’Europa contro chi invece – Meloni e Salvini – l’Europa la vogliono distruggere e oltreconfine occhieggiano ai regimi autoritari. “Si potrà vincere la partita solo se sapremo convincere quelli che, anche alle ultime amministrative, non hanno votato per noi”, scandisce il segretario del Pd nella Direzione convocata per ottenere (all’unanimità) il mandato a trattare con i partner potenziali: il tandem riformista Calenda-Bonino, i rossoverdi Fratoianni e Bonelli, Luigi Di Maio col supporto di Beppe Sala. “Non sono alleati semplicissimi”, ma lui è quasi sicuro di riuscire a persuaderli. Tranquilizzando la sinistra del partito, che teme il sopravvento dei centristi: “Il cuore del nostro progetto sarà la lista del Pd, aperta ed espansiva”; Articolo1 e Demos, il movimento che si richiama a Sant’Egidio, troveranno posto sotto l’ombrello dei Democratici e Progressisti. La posta in gioco è troppo alta per perdersi in distinguo: “Mai dal ’48 a oggi il voto sarà determinante sugli equilibri politici continentali. Il pareggio, con il Rosatellum, non è contemplato”. 

È un Letta modalità capo della Resistenza repubblicana insidiata dalle pulsioni estremiste degli avversari quello che si presenta alla Camera per disegnare il perimetro del nuovo centrosinistra. Costruito su intese tecniche che “siamo costretti a fare per via della legge elettorale”, niente patti organici come fu con i 5S: utili per provare a strappare i seggi nel maggioritario decisivi ai fini del risultato. Una missione che dopo la rottura coi grillini sembrava impossibile. E invece, “noi siamo pronti e lo sono anche gli italiani”, incalza il segretario. “Ci dicono: giocatevela, è fra voi e la Meloni. E noi ce la giochiamo”. 

O con noi o con Meloni

In ballo c’è la collocazione internazionale del Paese, minacciata dai nazionalisti tricolori: “O vince l’Europa comunitaria del Next generation Eu, dell’Erasmus e della speranza, oppure vince l’Europa di Orban, Vox e Marine Le Pen”, spiega Letta nella sua relazione. “Non ci sono terze opzioni”. Un concetto poi ripreso sia da Luigi Zanda, che esorta a incentrare l’intera campagna su questo rischio, sia da Gianni Cuperlo. “Io non penso che il pericolo sia l’insorgere di un nuovo fascismo”, riflette l’ex presidente del Pd, “penso che il rischio più concreto stia nel tentativo di condurre l’Italia fuori dai binari della sua identità e tradizione europeista, liberaldemocratica e occidentale”. Tanto più che l’eventuale vittoria non sarebbe neppure garanzia di stabilità: “A destra litigano così tanto che durerebbero un mese”, graffia Letta.

No al M5S

Mentre Giuseppe Conte fuori da Montecitorio protesta, “noi andremo soli, saremo il terzo polo, il campo giusto, un progetto che va da Calenda a Renzi a Di Maio a Brunetta ai fuoriusciti da FI non ci interessa”, il leader dem ribadisce che la frattura “è irreversibile”. Ciò tuttavia non significa pentirsi, “rinnegare i tre anni che abbiamo alle spalle”. Sono stati importanti: “Senza il lavoro al fianco del M5S non ci sarebbe stato il Conte 2, che poi ha reso possibile il governo Draghi” insiste. Fine delle concessioni, però. Quanto è successo il 20 luglio segna “una cesura”. Per questo “ora vi chiedo di darmi mandato su tre criteri: andare a discutere con forze politiche fuori dal trio dell’irresponsabilità”, ossia 5S, Lega e Fi che hanno fatto mancare la fiducia, “in grado di portare un valore aggiunto, che abbiano spirito costruttivo e che non mettano veti”.

Il nodo candidature

Tanti cani all’osso per pochi posti, è la questione che agita la truppa dem: il rischio di non essere ricandidati, prima ancora che eletti, li terrorizza. Ma il segretario non finge, né rassicura. Invita anzi a fare esercizio di realismo. “Il taglio dei parlamentari è passato in cavalleria, ma si vota per un Senato di 200 componenti e la maggior parte dei seggi saranno con l’incertezza”. Distribuiti in base a due requisiti, che non ammettono deroghe: parità di genere e volontà dei territori. “Le persone devono tendenzialmente correre a casa propria”, non saranno più calati dall’alto come in passato.

La selezione dei “migliori”

“Ci sono 30 collegi al Senato e 60 alla Camera da cui dipenderanno le elezioni. Lì siamo sotto di 5-6-7 punti, dobbiamo scegliere il candidato giusto. E la gente andrà a vedere se c’è il paracadute oppure no”. Nessuno si faccia illusioni, è il messaggio. Venir riprotetti sul proporzionale sarà un’eccezione. E infatti “ci saranno tantissimi scontenti”, prevede Letta, chiedendo a tutti “generosità e impegno, specie a chi ha più esperienza, ai nomi importanti”. Con la lista del Pd aperta agli esterni, qualche interno resterà fuori. Guai tuttavia a creare problemi, “altrimenti si passano le prossime settimane facendo volare stracci”. Ma qualcuno ha già cominciato. 

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