Renzi come Craxi e Berlusconi: dà il meglio di sé quando è spalle a terra

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Matteo Renzi triste, solitario y final. Così sembrerebbe per ora – ma per nessun altro vale specificare che si tratta di triplice condizione apparente e provvisoria.

Come Craxi e Berlusconi, pur essendo lontano dai loro traguardi e dai loro guai, il personaggio dà il meglio di sè quando si trova con le spalle a terra. Quanto al peggio, o giù di lì, è davvero difficile immaginarselo avvilito. La tristezza non si addice a Renzi. Da buon istrione, egli possiede piuttosto una vena melodrammatica, recitativa, che ha imparato a modulare come una potente risorsa vittimistica. Molto tristi oggettivamente e anche umanamente crudeli sono le vicissitudini politico-famigliari (babbo, mamma, sorella, cognato, incomprensioni, intercettazioni terribili). Ma al dunque lui ci ha costruito sopra un libro con un titolo azzeccato, “Il Mostro” (Piemme, 2022) e di buon successo, per cui “Wow, primi!” ha twittato giulivo una volta trovatosi in cima alla classifica dei best seller.

D’altra parte quell’esclamativo al plurale majestatis, “primi!”, introduce la questione dell’odierna solitudine di ordine politico-elettorale. Anche in questo caso – e sempre per ora – Renzi l’ha messa abbastanza bene, ma più ancora l’ha tenuta alta, fin troppo in verità, da grande e spesso impreciso orecchiante delle citazioni richiamando a Radio Leopolda l’Enrico V di Shakespeare: “We few, we happy few”, noi pochi, noi pochi ma felici. Non si è riusciti ad appurare se abbia completato il verso con “we band of brothers”, là dove specialmente sull’impegnativo termine di “banda”, e ancora di più su certi suoi pericolosi derivati (messa “al bando” o vita da “banditi”) la storia politica italiana, vedi ancora Craxi e Berlusconi, ha già dato e avuto quanto basta.

In vista delle elezioni questa banda, a suo tempo identificabile nel “Giglio magico”, si raccoglierebbe sotto la “R” rovesciata, marchio di auto-apologetica, ma anche temporanea se non retrattile appartenenza, nel senso che Renzi, lui e lui solo, potrebbe decidere di rinunciarvi sciogliendosi con i suoi rimaneggiati seguaci in questo, in quello o perfino in quell’altro cartello elettorale. Nella post-politica dell’eterno presente ideali e progetti contano nulla rispetto alla personalità dei leader; e fra tutti, chiacchierone insuperabile, c’è da scommettere che saprebbe benissimo motivare la scelta, del tutto indifferente all’altrui scetticismo.Quindi solitudine, la sua, al tempo stesso relativa, indispensabile e necessitata. 

Perfettamente a suo agio nel “più pazo laberintho” (Guicciardini) e nella più diffusa intercambiabilità della Terza Repubblica – pochi mesi fa i leghisti l’hanno invitato a tener lezione di super tattica nei loro corsi, di recente ha proposto un “Polo del buonsenso” – occorre senz’altro riconoscere che ogni tanto Renzi ci azzecca: vedi la fine del Conte 1 e del Conte 2 o lo stop alla direttrice dei servizi segreti indicata per il Quirinale. Un problemino, semmai, è che secondo i canoni del corrente narcisismo ha sviluppato un culto idolatrico di se stesso che fa quasi tenerezza, per esempio quando segnala la sua prima volta in tv con gli occhiali o annuncia: “Sto preparando un discorso dei miei, di quelli che restano, farò tremare il Senato!”, letterale.

Ma il problemone è che più di ogni altro possiede la non comune abilità di trattare tutti gli altri, da Letta a Salvini, dai consiglieri di Draghi a Berlusconi, come se fossero dei poveri cretini e/o rimbambiti. E così, dopo triste e solitario, si arriva agevolmente al terzo e ultimo aggettivo del fortunato romanzo di Osvaldo Soriano: final.

Ecco, fin troppi si augurano che l’odierno isolamento corrisponda al capolinea dell’avventura politica di Renzi. Lui stesso ha calcolato un tasso di antipatia all’80 per cento. Per la verità già da un po’ molti si erano illusi – e i pretesi brothers assai preoccupati – che volesse proprio cambiare mestiere: conduttore tv, preziosissimo e ammaestratissimo conferenziere in Arabia, gran mogol del car sharing in Russia, qualche mese fa aveva addirittura aperto un’agenzia di intermediazione di business. Ma niente, eccolo qua, un po’ più in carne e colla basetta imbiancata. Dice: da soli al voto e “contro tutti”, ma per ora; perché lui comunque “ama le sfide difficili”, stavolta niente retorica dell'”osso del collo”. 

Obiettivo il 5 per cento, slogan della Leopolda “dammi il cinque”, come nella prima uscita da premier in una scuola di Treviso, allungando le braccia verso i bambini, “Ciao, sono Matteo, dammi il cinque!” – e tutti allora gli credevano, mentre oggi beato chi crede ancora a qualcuno.

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