Calenda si prepara a dire sì a Letta ma l’alleanza sarà solo sui collegi

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ROMA – C’è un momento, durante la conferenza stampa organizzata per ufficializzare l’ingresso in Azione di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, nel quale Carlo Calenda fa intendere che la decisione è pressoché presa. È quando, affiancato dalle due ministre fuggite da Forza Italia dopo il tradimento di Draghi, con voce grave afferma: “Noi dobbiamo mettere in sicurezza il Paese. Non c’è mai stata una situazione di pericolo così grande per l’Italia. Una vittoria di questa destra sovranista e filo-Putin la porterebbe fuori dalle grandi nazioni europee”. 

È in quel preciso istante che i fedelissimi in sala capiscono che il barometro sta virando verso l’alleanza elettorale con il Pd. Nonostante le spinte contrarie dentro il partito siano fortissime e il sondaggio commissionato per verificare qual è la modalità migliore per prendere più voti indichi lo stessa tendenza: correndo da solo Azione supererebbe la doppia cifra, in coalizione rischia invece di restare sotto. Ma siccome prima di tutto viene “l’interesse del Paese” e non c’è certezza che “la maggiore performance nel proporzionale sia sufficiente a evitare che l’Italia finisca nelle mani di sovranisti e populisti”, l’ex ministro dello Sviluppopotrebbe entro il weekend dire di sì a Enrico Letta. Fissando però dei solidi paletti: ognuno farà campagna per sé, col proprio programma e le proprie idee; le forze si unirebbero semmai nei collegi uninominali, determinanti ai fini del risultato.

Sa bene, Calenda, che non si tratta di un’opzione indolore. Le prime a entrare in crisi sarebbero proprio le due new entry azzurre, subito cooptate nella segreteria di Azione. E Brunetta, “con cui c’è un’interlocuzione in corso”, potrebbe infine sfilarsi, insieme ad altri forzisti tentati dal carro azionista. Perciò bisogna ancora riflettere: “Ci sono ragionamenti che stiamo facendo e che non possiamo mettere in piazza”, taglia corto il leader. Comunque consapevole d’averne fatta di strada in pochi mesi, quando tutti pensavano che fondare l’ennesima sigla centrista, anche se lui preferisce definirla liberaldemocratica, sarebbe stata un’impresa a perdere. E invece ecco. 

“È stata una scelta sofferta e ponderata, ma di cui sono straconvinta”, dichiara Gelmini. “Almeno avrò la certezza di trovarmi in un partito in cui nessuno si sognerà di tramare con la Russia o con la Cina ai danni del governo in carica”, fa eco Carfagna. Entrambe d’accordo che questo sia “il momento del coraggio”, avendo rinunciato a un seggio sicuro e a chissà quali incarichi, che pure “ci erano stati offerti”, se fossero rimaste nella coalizione data per vincente. E invece, insiste Carfagna, conta di più “la lealtà verso i propri ideali” traditi da FI che ha pensato bene di rompere l’unità nazionale, non votando la fiducia all’esecutivo.

Uno spartiacque, quando “hanno deciso di mandare a casa l’italiano più illustre al mondo”, incalza Calenda. “Da quel giorno il mondo è cambiato”, rincara la responsabile per il Sud. Tra stare di là o di qua, le ministre non più azzurre hanno scelto di stare di qua, anche a costo di lasciare il certo per l’incerto. “Dopo il 20 luglio – rilancia Gelmini – è nato un bipolarismo nuovo, tra chi sostiene Meloni e chi Draghi”. È questa la battaglia, adesso. Che le due ex forziste intendono combattere “a testa alta, rivendicando i risultati del governo”, ribadisce Carfagna. Sicuro, il leader di Azione, che “questa destra non vincerà. Non c’è alcuna possibilità che gli italiani cadano nel suo tranello. Non credo vogliano essere declassati da partner di Francia e Germania a partner di Orban“.

Parole che fanno sperare il Nazareno. Dove è appena arrivato un sondaggio molto confortante: con FdI è testa a testa, il Pd in crescita del 2,7% rispetto a una settimana fa, mentre scendono M5S, Lega e Fi, i partiti che hanno fatto cadere il governo. Ancora poco per considerare la partita in discesa, bisognerà vedere come si risolve il rebus alleanze, ma sufficiente a ritenere che sia aperta. Tanto più che ieri è stato chiuso l’accordo con Art.1, Socialisti e Demos: correranno sotto l’ombrello dei Democratici e Progressisti. Al contrario di Renzi – il quale sta preparando le sue liste, pronto a ingaggiare contro Fratoianni una sfida diretta nel collegio – con cui il dialogo è interrotto: se vorrà, dovrà caricarselo Calenda. Sempre più persuasi, i dem, che Iv possa “portare meno voti di quanti ne farebbe perdere”

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