Aborti, Meloni all’attacco della 194, ma in Italia le Ivg sono crollate del 71%. Ecco perché il diritto a non abortire è garantito

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Una legge che ha funzionato come poche altre. Definita dall’Istituto superiore di sanità, nella presentazione della Relazione al Parlamento sui dati del 2020 “uno tra i più brillanti interventi di prevenzione di salute pubblica realizzati in Italia”. Nella campagna di delegittimazione della legge 194 portata avanti da Fratelli d’Italia e dalla Lega, ciò che clamorosamente non viene mai citato sono i dati degli aborti.  Un silenzio pesante, una rimozione colpevole. Forse proprio per non dover ammettere che quella norma, faticosamente approvata nel 1978, oggi rappresentata come l’emblema di tutti i mali, ha raggiunto in realtà il suo obiettivo. Permettere alle donne di abortire senza morire, insegnando però ad evitare l’aborto. Il risultato è stato il crollo, eclatante, delle interruzioni volontarie di gravidanza.

Erano 243.801 gli aborti nel 1983, “anno di massima incidenza del fenomeno”, sono diventati 66.413 nel 2020, con una riduzione del 71% di interruzioni. (E prima che la legge fosse approvata si stima che le pratiche clandestine fossero oltre un milione l’anno, con un’altissima mortalità delle donne per setticemia, perforazioni dell’utero). Numeri che raccontano un’evidenza assoluta: l’aborto in Italia sta diventando un fenomeno residuale, grazie, anche, alla legge. Nonostante il boicottaggio dell’obiezione di coscienza che in alcune regioni, così dimostra la ricerca “Mai dati” di Chiara Lalli e Sonia Montegiove, raggiunge il cento per cento di medici e anestesisti. (Gli ospedali dove non è possibile abortire sarebbero 31, ma la ricerca è in continuo aggiornamento, perché i reparti di Ivg aprono e chiudono, obbligando le donne a una dolorosa migrazione tra una regione e l’altra).  Perché dunque questa campagna così feroce contro una norma di salute pubblica che ha funzionato?

 Al di là degli echi della strategia liberticida di Orban, che intende obbligare le ungheresi ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima di un aborto (e c’è chi in Italia vorrebbe proporlo nei nostri ospedali), Giorgia Meloni ha ribadito nei giorni scorsi di non  voler affatto “abolire la legge 194, ma di volerla applicare anche nelle parti che prevedono la tutela della maternità”. Aggiungendo poi di voler dare alle donne “il diritto a non abortire”. I dati della Relazione al Parlamento dimostrano che in Italia le donne quel “diritto” lo conoscono da tempo, visto il sempre minore ricorso all’aborto, che ci ha portato ad essere uno dei paesi con il più basso tasso di abortività del mondo. E i numeri, che pochi in questa campagna elettorale citano, dicono anche che le nuove generazioni conoscono, seppure in modo imperfetto, la contraccezione, sfatando così l’altro luogo comune (e slogan dei gruppi prolife) che le ragazze utilizzino l’interruzione volontaria di gravidanza come “rimedio” al mancato uso di pillola o profilattico.

Ecco cosa si legge nella Relazione al Parlamento: “Nel 2020, il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza è diminuito in tutte le classi di età specie tra le giovanissime. I tassi più elevati riguardano le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni. La percentuale di interruzioni effettuate da donne con precedente esperienza abortiva continua a diminuire e, nel 2020, è risultata pari al 24,5%, tra i valori più bassi a livello internazionale, grazie al maggiore e più efficace ricorso ai metodi per la procreazione consapevole, alternativi all’aborto. Le interruzioni tra le donne straniere, dopo una progressiva stabilizzazione, risultano in leggera diminuzione”.

Alessandra Kustermann, ex primaria di ginecologia della clinica Mangiagalli di Milano, una vita in difesa e in soccorso delle donne, dice, con chiarezza, “la legge 194 è intoccabile”. Perché, semplicemente, “ha funzionato e funziona in modo egregio, basta leggere i dati, erano 243mila gli aborti, sono diventati 66mila, i numeri sono ciò che conta, è un fenomeno strutturale che non sarà mai azzerato ma il successo della legge è tangibile”. Kustermann allarga la riflessione: “L’attacco di Giorgia Meloni alla 194 è un attacco concettuale che merita una risposta articolata. Non ho niente contro i centri di aiuto alla vita che offrono sostegno alle donne in gravidanza, sperando così che rinuncino all’aborto. Ipotesi assai remota, almeno nei miei quarant’anni di esperienza. Ma questi “Cav” devono essere fuori da consultori, lontani dai reparti della 194, non devono assolutamente interferire con il percorso della donna, cercando di colpevolizzarla. Lo Stato è laico e applica la legge”.

 Alessandra Kustermann ricorda una sentenza fondamentale della Corte Costituzionale del 1976. “E’ la sentenza che aprì la strada alla legge sull’aborto del 1978. Afferma che  prima del diritto alla vita dell’embrione viene il diritto alla vita della donna”. Dunque alla sua libertà di scelta.

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