MILANO. Nel giorno in cui Pablito Rossi avrebbe compiuto 66 anni è sbocciato contro l’Inghilterra alla sua prima vera gloria azzurra Giacomino Raspadori, che all’alba della carriera già veniva paragonato all’illustre antenato e molto si schermiva di fronte al complimento. Mancini, ct esteta immalinconito dagli eventi, gli ha affidato in assenza di altri credibili interpreti la “sua” maglia numero 10 e ne è stato ripagato al massimo grado: il gol inventato dal ventiduenne brevilineo fin qui adattato a tutti i ruoli dell’attacco – conversione sul limite dell’area e destro secco sul secondo palo – non è cosa da tutti. Intanto sottrae la Nazionale, orfana dell’imminente Mondiale, al rischio della retrocessione nella serie B della Nations League, dove invece precipitano gli inglesi, e le regala lunedì a Budapest la possibilità di entrare nella Final Four. Dovrà battere a domicilio, nell’imprevisto duello per il primo posto, l’Ungheria dell’italiano Marco Rossi, che ha vinto molto a sorpresa in casa della Germania.
Non mancano gli effetti collaterali della prodezza di Raspadori, comunque non isolata, visti il raddoppio avvicinato da Gabbiadini (respinta del portiere Pope) e da Dimarco nella stessa azione (palo), nonché la superiorità complessiva rispetto alla spenta squadra di Southgate, che si è svegliata solo nel finale. Al posto da testa di serie per le qualificazioni a Euro 2024 e alla scalata provvisoria del ranking Fifa (l’Italia è settima, l’Inghilterra quinta) si aggiunge l’interruzione del sortilegio di San Siro. L’ultima vittoria qui risaliva a quasi 10 anni fa, quando ancora Balotelli voleva la corona e gli italiani pensavano di essere un popolo di santi, poeti, navigatori e centravanti.
Le pagelle di Italia-Inghilterra: Bonucci annulla Kane. Mancini cambia tutto, e ha ragione
di Matteo Pinci
Forte era il sospetto della correlazione tra l’assenza di un goleador e i successivi 5 pareggi (inclusa l’apocalisse di Tavecchio), più la sconfitta dell’anno scorso con la Spagna nella Final Four della scorsa Nations. Contro i sudditi di re Carlo, che andranno in Qatar e gli azzurri invece no anche se per ora la differenza non si nota affatto, la statistica si è spezzata e l’esito è congruo con la trama. Se la partita ha avuto ritmo e tratti di sciatteria, è stato a lungo per colpa degli inglesi. Mancini ha dovuto accantonare per l’emergenza l’ingegnoso sistema dell’Europeo, il 4-3-3 mutabile in 3-2-5 e fondato sul palleggio e sul vortice degli interscambi. Il ct, che ha raggiunto Valcareggi e Vicini a 54 panchine e punta le 56 di Prandelli alle spalle del duo Pozzo-Bearzot, è stato costretto dai 10 infortuni (più Spinazzola a riposo, Insigne nel limbo, Zaniolo in castigo) a virare con decisione sul 3-5-2, data anche l’assenza in extremis di Immobile, lanciando la coppia Scamacca-Raspadori e inserendo in difesa Toloi accanto a Bonucci e Acerbi, a comporre un trio difensivo centenario.
Dimarco è stato il vivace esterno sinistro. Dell’ortodossia tattica dell’Europeo è rimasto il terzetto di centrocampo, col doppio regista (Jorginho-Cristante) e l’incursore (Barella). All’avvio vitalissimo, col colpo di testa di Scamacca alzato in corner da Pope, è seguita la fisiologica fase in cui la volontà di fare gioco si è scontrata con lancioni speranzosi e passaggi fuori registro. Ma l’Inghilterra era assai più fallace e grigia, sovrastata negli anticipi: il primo tiro, dimostrativo, lo ha scagliato Kane a fine primo tempo. Nella ripresa Raspadori ha presto spaventato Pope, poi lo ha infilzato. Nel frattempo erano entrati Pobega e Gnonto e il loro ingresso non è estraneo al decisivo innalzamento del ritmo. Le due respinte di Donnarumma in sequenza, entrambe su Kane, e il breve abbozzo di assalto conclusivo non valgono il contropiede con cui Gabbiadini, Gnonto e Dimarco hanno disorientato la torpida difesa di Southgate. “Abbiamo lanciato tanti giovani contro i big del calcio mondiale. Andiamo a Budapest per vincere”. Il sunto di Mancini è ineccepibile.