Meloni, un’anima divisa in due
Giorgia Meloni guida la forza che realisticamente sarà in testa a tutte le altre: è un suo indubbio merito politico. Ha condotto una campagna schizofrenica, mezzo rivolta ad accreditare una svolta moderata mezzo fedele alle vecchie pulsioni lepeniste. Non è chiaro se a pesare di più sia una indomabile scissione interiore o il tentativo di non perdere per strada alcun consenso, né quelli dei molti neofiti che pensano “proviamola” né quelli dei nostalgici che alzano il braccio nel saluto romano. Più volte ha dimostrato poco equilibrio, dote fondamentale per guidare un Paese, come quando ha invocato una stretta poliziesca contro i suoi contestatori in piazza. Il voto pro Orbán al Parlamento europeo ha indebolito molto la credibilità della sua linea atlantista e delle sue credenziali da destra di governo europeista. Non riesce a fare meno della posa vittimista, figlia forse di una troppa lunga formazione catacombale. Inquietante il momento in cui ha spiegato che la sua vittoria rappresenterebbe il riscatto di quegli italiani che “per decenni hanno chinato la testa”. Dato che la destra ha governato a lungo, e lei stessa è stata ministra, è difficile non leggerci un riferimento al riscatto del popolo missino.
Voto 5
Giorgia Meloni, leader di FdI (agf)
La piazza non fa per Letta
Enrico Letta ha il merito di aver azzeccato la campagna dello “scegli”, diventata virale e poi imitata anche da altri che la sfottevano, e il demerito di non essere riuscito a far emergere una o due proposte concrete capaci di rivaleggiare con quelle, pur implausibili, della destra. Tanti temi-cornice – il lavoro, l’ambiente, le donne, la sanità – e la sensazione, troppo spesso affiorata anche in modo esplicito, di puntare solo a fermare Meloni anziché puntare davvero a Palazzo Chigi. In questo non ha aiutato vedersi circondato da una nomenclatura apparsa più impegnata a studiare nuove formule di alleanza e coalizione di governo che preoccuparsi di trovare i voti necessari a riuscirci. Troppo serio per una campagna dove ha prevalso largamente il modello Lauro, una scarpa prima del voto e l’altra dopo, ma la dimensione di piazza e la performance da comizio non sono e non saranno mai il suo forte.
Voto 6
Enrico Letta, segretario del Pd (agf)
Conte uno e trino
Giuseppe Conte ha governato con Salvini e nell’arco di un discorso parlamentare è riuscito ad accreditarsi come il suo peggior nemico. Allo stesso modo, ha governato un anno con Draghi e ora ha convinto tutti che stava già all’opposizione. Si rifiuta di scegliere tra Macron e Le Pen e un mese dopo gira l’Italia fingendosi Mélenchon. C’è del talento nella capacità dell’avvocato di sopravvivere a ogni possibile rovescio. In una campagna dove molto è stato improvvisato, non si può dire che lui non abbia pianificato bene: ha fatto cadere Draghi per riverginare l’immagine di un partito capace di tutto nella legislatura appena conclusa, si è liberato dell’innaturale abbraccio con il Pd e ha ridato all’elettorato M5S ciò che si aspetta: toni forti, sindrome di accerchiamento e promesse mirabolanti. Grande successo nelle piazze del Sud, meno altrove, ma sui canali social basta stringere l’obiettivo per simulare pari successo anche dal Garigliano in su. La sua conoscenza dei dossier è sempre superficiale e traballante, ma la capacità di creare empatia nei ceti popolari è notevole.
Voto 7
Giuseppe Conte, presidente M5S (agf)
Berlusconi, un lugubre epilogo
La sua ottava campagna elettorale consecutiva per le Politiche sarà ricordata per due cose: l’esordio su Tik Tok, dove ha cercato di guadagnarsi le simpatie di un pubblico di virtuali bis nipoti che, a differenza delle generazioni precedenti, non sono cresciuti nell’era della sua egemonia culturale; e l’imbarazzante, spudorata apologia di Putin che ha pronunciato in tv l’altroieri. Silvio Berlusconi guida una forza allo sbando, ridotta a partito contadino della destra sovranista, sedicente garante di una linea liberale e occidentale contraddetta da ogni azione e parola, compresa la decisiva collaborazione alla defenestrazione di Draghi. La consapevolezza del baratro che attende Forza Italia sta tutta nella proposta buttata lì, senza alcuna coerenza e logica, a poche ore dal voto: il raddoppio del reddito di cittadinanza.
Voto 2
Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia (agf)
Salvini, il Capitano degradato
Lontano il ricordo delle piazze che lo acclamavano come Capitano, Matteo Salvini si è rifugiato in una campagna con poche ossessive parole d’ordine, lo stop agli sbarchi, la legge Fornero, il condono fiscale. Non che il resto della sua carriera politica mostri una propensione allo scarto e al cambio di strategia. Si è profuso in maratone notturne su Tik tok salutando per nome centinaia di account a sera come in un programma delle private anni Ottanta. Soffre in modo evidente la primazia di Meloni, senza più la titolarità dei suoi temi di battaglia sembra condannato a subire furti di consenso da ogni lato e latitudine. Persino il suo radicato putinismo, che dopo lo scoppio della guerra ne ha minato l’immagine presso una fetta di opinione pubblica molto ampia, è sfruttato elettoralmente da altri partiti, anche minori.
Voto 3
Matteo Salvini, segretario della Lega (agf)
Calenda, l’impulsività al potere
Insieme a Meloni Carlo Calenda è l’unico che può sfruttare l’onda nuovista, si è lanciato nella mischia con la consueta generosità e impulsività. L’alleanza con Renzi, improvvisata e arrivata dopo averne detto ogni male, è stata gestita anche grazie alla scelta dell’ex presidente del Consiglio di fare una campagna defilata e poco “renziana”. Ha compensato Calenda, che ha battibeccato con quasi tutti gli avversari a cadenza quotidiana. Il grande limite è forse quello che al leader di Azione pareva il punto di forza: l’idea di puntare sulla continuità di Draghi. Non solo per il fatto, non trascurabile, che Draghi si è detto indisponibile a un nuovo mandato, quanto perché ha restituito a molti elettori un messaggio rinunciatario e contraddittorio, perché se l’obiettivo è impantanare il quadro politico e tornare all’unità nazionale, significa di fatto che Calenda propone di tornare a governare insieme a tutti quelli ha accusato per l’intera campagna di aver prodotto disastri.
Voto 5,5
Carlo Calenda, leader di Azione (agf)