Il voto di oggi è un momento spartiacque per definire l’identità politica del nostro Paese e di conseguenza anche la nostra posizione, in Europa e in Occidente.
A creare lo spartiacque è il sentimento di protesta che, come nel 2018, si annuncia decisivo nell’orientamento del risultato e si indirizza verso partiti e movimenti capaci di intercettare lo scontento popolare, che ha radici profonde nelle diseguaglianze socio-economiche che attanagliano il Paese. La protesta ha più anime: i sovranisti di Fratelli d’Italia e Lega, i populisti del Movimento Cinque Stelle e i rossobruni di ItalExit.
Con narrative diverse, interpretano la sfida “del popolo contro il potere” identificando nel governo del premier uscente,Mario Draghi, la fonte di errori e mancanze che hanno indebolito il Paese e peggiorato la vita dei cittadini. Per loro Draghi è il simbolo di “poteri forti”, “finanza internazionale” e “globalizzazione” che hanno impoverito e vessato il ceto medio, imponendo ingiustamente sacrifici e vaccini. Se questo sentimento dovesse prevalere, a cinque anni dalla schiacciante vittoria di grillini e leghisti che portò alla nascita del Conte I, l’Italia si confermerebbe come la palestra più avanzata del populismo in Europa perché dopo averlo visto trionfare nelle urne e quindi soccombere progressivamente nel Paese e in Parlamento, lo vedrebbe tornare di nuovo in auge. Con inevitabili conseguenze nel rapporto fra cittadini e istituzioni, a cominciare dal pericolo che la nostra Costituzione repubblicana nata dalla resistenza antifascista – un testo basato sull’equilibrio dei poteri per proteggere la democrazia rappresentativa – venga stravolta per lasciare il posto ad una forma di democrazia diretta destinata ad esaltare il rapporto privilegiato fra popolo e presidente, ovvero con una evidente prevalenza dell’esecutivo. ComeRousseauvoleva eMontesquieuaborriva.
Sul fronte opposto ai populisti c’è un eterogeneo schieramento, dal partito democratico al Terzo polo, che invece ha sostenuto con convinzione il governo Draghi, vedendo nei risultati ottenuti – dalla risposta alla pandemia al decollo del Pnrr sulla ricostruzione, dalla cybersicurezza alla transizione ecologica – la dimostrazione di un riscatto dello Stato repubblicano e delle sue capacità di assicurare ai cittadini la protezione dei diritti e un orizzonte di crescita. La coesistenza nell’opinione pubblica di un alto grado di apprezzamento per l’operato di Mario Draghi con un altrettanto palpabile sentimento di sostegno per il fronte sovranista-populista descrive in maniera cristallina il nostro essere in bilico fra visioni opposte sul ruolo dello Stato, sull’agenda della politica nazionale ed anche sullo spirito repubblicano della nostra Costituzione.
Nella sfida elettorale fra chi difende e chi contesta la democrazia rappresentativa Repubblica è e sarà sempre a fianco dei primi, pronta a battersi con la forza delle idee e nel più severo rispetto dello Stato di Diritto se a prevalere dovesse essere il campo sovranista e populista.
Ma non è tutto perché la sfida anti-sistema sulla quale oggi siamo chiamati ad esprimerci avviene nel bel mezzo del più brutale conflitto combattuto in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, innescato dall’invasione russa dell’Ucraina frutto della volontà del Cremlino di ridisegnare la sicurezza europea per imporre i propri interessi strategici a danno dei Paesi democratici. L’ambizioso disegno del presidente Vladimir Putin è di cancellare l’Ucraina dalla mappa geografica con una guerra lunga e brutale, che è convinto di vincere grazie alla carenza di volontà dell’Europa e dell’Occidente di sostenere la resistenza ucraina.
Da qui il tentativo russo di far prevalere lo scompiglio – di qualsiasi natura e colore – nei nostri Paesi al fine di fiaccare prima e far venir meno poi il sostegno all’invio di armi all’Ucraina ed alle sanzioni economiche contro la Russia. Si spiegano così i ripetuti interventi di Dmitri Medvedev, ex premier ed ex presidente russo assai vicino a Putin, per chiedere agli elettori italiani di votare “contro le forze che hanno sostenuto il governo Draghi”, colpevole per Mosca di essere stato uno degli architetti della coesione euro-atlantica – politica, economica e militare – che ancora oggi consente alla giovane democrazia ucraina di resistere al secondo più grande e poderoso esercito del mondo.
Da qui il rischio che posizioni politiche in sintonia con il Cremlino, da quelle espresse da Silvio Berlusconi sugli schermi di Porta a Porta a quelle illustrate da Matteo Salvini alla platea di Cernobbio, possano uscire rafforzate dal voto odierno fino al punto da condizionare le scelte del prossimo governo, facendo venir meno il sostegno militare a Kiev ed economico alle sanzioni a Mosca.
È la sovrapposizione fra sfida sovranista-populista alle istituzioni repubblicane ed evidenti ingerenze russe a rendere uniche le elezioni di oggi. Spiegando perché il voto di oggi ha in palio non solo il prossimo governo del Paese ma anche gli equilibri dell’Europa.