Bollette, 20 miliardi dai fondi Ue. Ora Meloni chiede aiuto a Bruxelles

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ROMA – Un decreto da oltre 20 miliardi per aiutare famiglie e imprese a pagare le super bollette di luce e gas come primo atto del nuovo governo di centrodestra. Senza aspettare la legge di bilancio che entra in vigore il primo gennaio del 2023. E che, per via di tempi e risorse ridotti all’osso – la commissione Ue consente quest’anno all’Italia di inviarla entro novembre, anziché il 15 ottobre – potrebbe essere solo “tabellare”, essenziale. Per coprire le spese indifferibili dello Stato come le missioni all’estero. E rifinanziare misure in scadenza a fine anno: il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, Ape sociale e Opzione donna per i pensionati. Rimandando la discussione sulle riforme di fisco (Flat tax) e previdenza (Quota 41).

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L’emergenza bollette: serve un intervento subito

“Abbiamo cinque anni per attuare il nostro programma”, ripetono non a caso i consiglieri più fidati della leader di FdI Giorgia Meloni. Gli sherpa di tutti i partititi della coalizione sono stati ricevuti al ministero dell’Economia per visionare in anteprima la tabella della Nadef– la Nota con le variabili macroeconomiche aggiornate – che il governo Draghi porterà giovedì 29 in Cdm. La collaborazione con l’esecutivo uscente è essenziale, anche perché nei prossimi giorni sarà necessario tamponare gli aumenti delle tariffe elettriche annunciati dall’Arera, l’Authority dell’energia, per fine mese. Sarà proprio il governo Draghi ad agire, probabilmente attingendo alle extra entrate tributarie del mese di settembre. In agosto erano 4 miliardi finiti nel decreto Aiuti ter.

I fondi strutturali Ue non spesi sono solo 3,5 miliardi

Questo però significa che il “tesoretto” da imposte e tributi – soprattutto Iva, Irpef e Ires – a disposizione del centrodestra per un nuovo decreto bollette da 20 miliardi si assottiglia, limitandosi ai mesi di ottobre, novembre e dicembre. Maurizio Leo, responsabile economico di FdI, dice che per evitare di fare nuovo deficit si può attingere ai “fondi strutturali 2014-2020 non spesi dall’Italia: su 45 miliardi sono la metà“. Una ricostruzione non accurata, visto che i fondi Ue (Fesr e Fse) non impegnati e non spesi – per i quali non sono cioè stati fatti bandi e avvisi di gara – relativi al settennio 2014-2020 sono solo 3,5 miliardi su quasi 50 (il 7%), dati di aprile della Ragioneria. Riprogrammare questi fondi non è cosa né facile né rapida, perché possono essere ancora spesi entro dicembre 2023. E perché occorre un’autorizzazione Ue e l’interlocuzione può durare anche 6-7 mesi.

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I fondi Ue si possono riprogrammare?

Si tratta poi di risorse con un vincolo territoriale e d’impiego: lavoro, sociale, formazione, infrastrutture, efficienza energetica. Non certo le bollette. L’Europa non ha mai consentito un cambio d’uso, tranne che in pandemia per mascherine, respiratori, bonus. Ma l’eccezione fu per tutti i Paesi. Ed oggi la richiesta verrebbe dalla sola Italia e da partiti – come Lega e FdI – non solo ipercritici con Bruxelles, ma che votano anche contro l’Ue, come nel caso delle sanzioni al leader ungherese Orban per violazione dei diritti umani.

E poi ci sono i fondi nazionali, ma destinati al Sud

Ci sarebbero poi altri 12,3 miliardi ancora non spesi né impegnati del Programma complementare, ovvero fondi nazionali abbinati ai fondi strutturali europei del 2014-2020 messi nel mirino da FdI. Qui non occorre un via libera di Bruxelles, ma bisognerebbe aprire un tavolo con le Regioni del Sud a cui sono vincolati questi soldi: accetterebbero di privarsene per pagare le bollette delle imprese del Nord-Est e del Nord-Ovest? Anche in pandemia non fu semplice riprogrammare i fondi Ue. Lo stesso ministro pd del Sud Beppe Provenzano faticò a superare le resistenze di un compagno di partito, il governatore campano Vincenzo De Luca. Usare questi fondi come coperture urgenti per le bollette al momento sembra utopia.

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