C’è un tesoretto da 20 miliardi: l’eredità anti crisi per Meloni

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ROMA – L’eredità Draghi è un doppio tesoretto da 20 miliardi totali lasciato al governo di centrodestra. Dieci miliardi da usare subito, entro l’anno, per finanziare un decreto bollette. E altri dieci miliardi per la manovra 2023. Senza fare deficit, anzi proprio grazie al minor deficit che il ministro dell’Economia Daniele Franco è riuscito a consolidare nei conti dello Stato. Come ci mostra la Nadef – la Nota di aggiornamento al Def – approvata ieri dal Cdm e validata dall’Ufficio parlamentare di bilancio il 23 settembre.

Conti sorprendenti per molti analisti – come Stefano Fantacone direttore del Cer – che si aspettavano sì un Pil 2023 ancora positivo, seppur allo zero virgola, ma un deficit più alto. Merito della “vigorosa ripresa” e del “ritrovato dinamismo” dell’economia italiana nel post Covid – scrive Franco nella Nadef – sostenuta “non solo dai consumi, ma anche dagli investimenti e dalle esportazioni”. Nubi all’orizzonte, però.

Le prospettive economiche appaiono ora meno favorevoli“, avverte Franco. Peggiora la fiducia delle imprese, flette la produzione industriale, l’economia globale ed europea sono “in marcato rallentamento“, aumentano i prezzi dell’energia e l’inflazione, come pure i tassi e lo spread. E per la prima volta dopo quasi 10 anni la bilancia commerciale dell’Italia registrerà nel 2022 un deficit di 60 miliardi tutto imputabile all’impennata dei prezzi dell’energia importata dall’Italia.

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Ciononostante il 2023 è, nei numeri della Nadef, ancora un anno con il segno più, anche grazie a un 2022 le cui stime sono state ieri riviste in meglio dal governo Draghi. E così il Pil di quest’anno chiude a +3,3% (anziché a +3,1), il deficit a 5,1% (anziché 5,6) e il debito a 145% (anziché 147). Revisioni che impattano positivamente sul 2023, anno in cui l’Italia abbatte la crescita, ma evita il segno meno, previsto invece da Fitch e Moody’s. E dunque: Pil a +0,6% (anziché +2,4), deficit a 3,4% (anziché 3,9), debito a 143% (anziché 145).

Numeri che aprono diverse prospettive politiche. Grazie ai due tesoretti di Draghi, appunto. Basta guardare al deficit. Viene abbassato quest’anno e il prossimo di 0,5 punti. Significa 10 miliardi subito liberati per il 2022 e altrettanti per il 2023. Nel primo caso il nuovo governo non dovrà neanche chiedere l’autorizzazione al Parlamento ad usarli, perché le Camere già hanno dato l’ok sia a luglio che a settembre per i decreti Aiuti bis e ter ad un deficit al 5,6%, ora portato a 5,1%. La legge di bilancio trova un’analoga spinta da 10 miliardi, grazie a un deficit 2023 rivisto al 3,4% dal 3,9: anche qui mezzo punto.

Spazi, questi per la manovra, che potrebbero dilatarsi ancora se il nuovo governo decidesse di salire sopra il 3,4%, cioè di fare altro deficit. Evitando però di superare il livello 2022, posizionato dal governo Draghi in discesa al 5,1%. Ecco dunque che nella forchetta tra 3,4% e 5,1% si apre un mondo. Un solo punto in più di deficit – al 4,4% – porterebbe altri 20 miliardi, per un totale di 30 miliardi di manovra.

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La prudenza è d’obbligo. Lo scrive il ministro Franco nella Nadef. Se la Russia bloccasse del tutto l’erogazione di gas, il Pil dell’Italia nel 2023 sarebbe azzerato (+0,1%). E dimezzato con la recessione in Europa e il rialzo dello spread (+0,3%). Ancora peggio se si aggiungesse un rafforzamento ulteriore del cambio euro/dollaro. Scenari di rischio ben calcolati nella Nadef, a futura memoria del governo entrante.

L’inflazione, dice ancora la Nadef, comincerà a scendere “entro l’anno”. Dal +6,6% del 2022 si passa al +4,5% del 2023, poi +2,3% nel 2024 e +1,9% nel 2025. Una buona notizia per famiglie e imprese. Meno per i conti pubblici che devono il loro andamento stellare di quest’anno anche grazie alle entrate di imposte come l’Iva trainate dai prezzi. E alle maggiori tasse spinte dal Pil in poppa.

Fattori che riescono per ora a contenere anche l’impatto della rivalutazione delle pensioni all’inflazione e l’aumento degli interessi dei titoli di Stato. Non durerà per sempre. 

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