Come un disco rotto ripetono che no, che questa storia del fascismo che ritorna è una boiata per mummie del Novecento o da maniaci compulsivi. Che le braccia tese sono folklore o, meglio, un equivoco. Che il culto di Predappio e della fiamma è solo museale. Che è caricaturale e in mala fede ritrarre il vento che soffia nelle vele del tempo nuovo come una riproposizione di suggestioni, stilemi, riflessi, di una Storia che non può ripetersi. E tuttavia, guardate un po’, nel giorno tre dell’anno uno dell’era di M., accade che sulla prima pagina dell’edizione di ieri del quotidiano Libero, si organizzino una bella bastonatura e olio di ricino. E di chi? Del “principe dei rosiconi”, lo scrittore Antonio Scurati, colpevole autore della trilogia M, il figlio del secolo, e per questo gratificato di un titolo a cinque colonne che ha l’eleganza e la nuance di un rutto e la violenza verbale utile ad annichilire ogni genere di replica: “Uomo di M”. Si, “Uomo di M”, dove nel simpatico calembour, M potrebbe stare, alternativamente, per Mussolini o per il più prosaico “merda”.
La trovata lessicale deve essere suonata così brillante e icastica all’orecchio di chi l’ha concepita che, nell’editoriale che la accompagna, a firma del direttore responsabile Alessandro Sallusti, se ne ripete e chiarisce l’uso, perché sia chiaro a tutti di quali infamie il reprobo scrittore si è macchiato. Antonio Scurati è “un uomo di M.”, di Mussolini” o di “merda” (scelga il lettore), perché “in un’intervista rilasciata a un importante sito francese, ha definito Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia eredi di Mussolini”. “È un uomo di M.”, di Mussolini o di merda (scelga il lettore) perché è recidivo, “avendo già detto parole simili in una trasmissione televisiva di Lilli Gruber. “È un uomo di M.”, di Mussolini o di merda (scelga il lettore) perché nella sua trilogia “mischia storia a romanzo”, “perché sputtana un Paese all’estero e fa passare per stupidi e ignoranti milioni di italiani”. Ma sì, conclude il nostro, “L’uomo di M., è uomo di M. fino in fondo, e più fa l’uomo di M., più fa ascolti”.
Patrioti, nazione e tradimento: le parole di Meloni e l’eredità missina
di Marco Belpoliti
Si potrebbe evidentemente liquidare la faccenda facendo spallucce, vista la tribuna da cui proviene e lo stile della casa che la contraddistingue, consegnandola alla semplice commiserazione che merita. E tuttavia, non è una buona idea accodarsi al silenzio assordante che ormai, da tempo, accoglie bastonature e olio di ricino a mezzo stampa (di cuiLiberoper altro non detiene il monopolio) e che lascia alle vittime di turno la scelta se difendersi in solitudine o tacere (ha fatto eccezione il ministro Roberto Speranza che ha voluto offrire pubblicamente la sua solidarietà a Scurati). Il silenzio ha definito e definisce infatti un nuovo contesto. Che non ha a che fare solo con l’igiene delle parole, ma con un senso comune, questo si, tecnicamente e storicamente, fascista, per cui chi non sale sul carro della nuova Italia, avrà ciò che si merita. Solitudine, bastonature, e magari un po’ di schizzi di M. Oggi tocca a Scurati, uno scrittore, poi si procederà per categorie: cantanti, artisti, intellettuali, meglio se omosessuali (pardon, froci) o transgender, e giù per li rami.
Quelli che non lo vedono
di Michele Serra
La violenza delle parole, di solito, dissimula il vuoto pneumatico degli argomenti. Ma, appunto, comincia a esserci qualcosa di più. E il problema non è la sinistra rosicona che “le spara grosse”, che non sa adeguarsi allo spirito del tempo, al “parla come mangi”. È l’aria che tira. Quella del guai ai vinti, normalmente anticamera della libertà di parola a geometria variabile. Ma, naturalmente, anche queste sono ubbie da vecchi arnesi.Libero, nella persona di Vittorio Feltri, direttore editoriale del quotidiano e tribuno di Fratelli d’Italia, assicura che “Uomo di M.” sta per Mussolini. E che se Scurati la intende come merda “vuol dire che si sente così”. Appunto.