“Se non troviamo in fretta soluzioni, ci mostriamo deboli. E se diamo l’impressione di essere deboli, otterremo altri no”. Giorgia Meloni fa sfoggio di allarmato pragmatismo, nel salone di Arcore. Il senso dei suoi ragionamenti condensa l’assenza di un patto tra alleati. Niente accordo sulla Presidenza del Senato. Un duro scontro sul ruolo di Licia Ronzulli nell’esecutivo. Tensioni con Silvio Berlusconi, che sente di non contare abbastanza. Gelo con Matteo Salvini, che non vuole tecnici leghisti nel governo. Ansia per l’assenza di un ministro dell’Economia di peso che garantisca in Europa e sui mercati. A quattro giorni dall’avvio della legislatura, il vertice in Brianza certifica soltanto uno stallo.
Meloni: “Fare presto”
A un certo punto di un summit inconcludente, Meloni guarda in faccia gli alleati: “Avete idea di quello che stiamo per affrontare?”. Preoccupatissima, come ormai da giorni, indica loro l’iceberg a tutta dritta: “Abbiamo poco tempo”, è il senso dei suoi ragionamenti. Il governo, fa sapere nel frattempo Fabio Rampelli, “nascerà tra il 21 e il 25 ottobre”, dopo il Consiglio europeo sull’energia a cui parteciperà Mario Draghi. La leader spiega che i rifiuti registrati finora – quello più fragoroso è ovviamente di Fabio Panetta – sono una pessima notizia per tutti. Senza una squadra autorevole, l’esecutivo partirebbe “indebolito”.
Il nodo del ministero dell’Economia
Il primo nodo che la Presidente di FdI mette sul tavolo è proprio quello dell’Economia. Il piano di mobilitare il Quirinale per convincere Panetta ha poche chance, perché il diretto interessato continua a opporre una strenua resistenza. L’obiettivo è trovare una figura spendibile al Tesoro, il pass per alcuni mondi che contano. Circola l’ipotesi di Domenico Siniscalco e quella di Vittorio Grilli, ma l’incastro ancora non prende forma. Sarà comunque un tecnico, come per gli Esteri e per gli Interni.
Le Presidenze delle Camere
Prima, però, c’è un’urgenza ancora più stringente: le Presidenze delle Camere. Si inizia a votare giovedì, Meloni non vuole neanche immaginare l’opzione di arrivare in Aula senza un accordo. Al tavolo c’è anche Ignazio La Russa, il nome che la prossima premier preferisce per Palazzo Madama. Nei giorni scorsi, Berlusconi l’aveva rassicurata: “Ignazio per noi va bene”. Salvini però si mette di traverso, vuole alzare il prezzo sui ministeri. Pretende il Senato per Roberto Calderoli, Meloni è disposta a concedergli la guida di Montecitorio. I nomi sono quelli di Riccardo Molinari e Giancarlo Giorgetti (in alternativa, per FdI, Rampelli e Francesco Lollobrigida). I due leader duellano, senza arrivare a una sintesi. Ci sarà bisogno di un nuovo summit – forse già lunedì, stavolta però a Roma con Berlusconi videocollegato – per avvicinare i contendenti.
No a Salvini al Viminale
L’altro no, sonante, Meloni lo pronuncia (sarebbe meglio dire: lo ribadisce) a Salvini sul fronte del ministero dell’Interno. Il leader giura di non aver avanzato pretese per se stesso. Al Viminale, in ogni caso, andrà un tecnico. E cresce il nome del prefetto di Roma Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto del leghista al tempi degli Interni. Per Antonio Tajani potrebbero aprirsi le porte della Difesa o dello Sviluppo economico. Evidente che per Salvini questo schema è penalizzante. Può aspirare per il suo partito alle Infrastrutture, forse con un mezzo miracolo alla Giustizia (dove però si fa spazio anche l’azzurra Maria Elisabetta Casellati). E per se stesso? L’Agricoltura o le Riforme. Pochino, per questo punta fermamente all’incarico di vicepremier. Il problema è che Meloni preferirebbe non farsi affiancare da numeri due. Da qui l’inquietudine, che a un certo punto lo porta a sostenere: “Noi abbiamo nomi leghisti all’altezza per l’esecutivo e non proporremo neanche un tecnico”.
Lo scoglio Ronzulli
E non è finita qui. Perché Meloni registra ostacoli soprattutto mentre ragiona con Berlusconi. Il Cavaliere vuole dentro a tutti i costi Licia Ronzulli. Spinge per la Salute o, in alternativa, Infrastrutture e Agricoltura. È una condizione “irremovobile”. La leader frena, Salvini media. Il compromesso potrebbe essere un ministero di seconda fascia. Nulla, insomma, è ancora a posto. Non a caso, a fine vertice trapelano soltanto due concetti. Il primo, frutto di una nota congiunta, promette “un governo forte e capace di rispondere alle urgenze del Paese”, assicurando “passi avanti” per arrivare “il più speditamente possibile” a un esecutivo. Il secondo è affidato a un commento ufficioso del Carroccio, e si intravedono i problemi: “La Lega ha chiara la propria squadra di governo ed è pronta, ai massimi livelli”. Non solo. Salvini chiede un intervento immediato sull’energia, lasciando intendere che andrà fatto senza consultare l’Europa. E magari anche con uno scostamento di bilancio: “Serve un decreto ferma-bollette che, visti i ritardi europei, non può più essere rinviato”. Arcore non sorride a Meloni, non oggi.