Il discorso antifascista di Liliana Segre. Tanti applausi, ma su Matteotti, 25 aprile e Costituzione la destra è tiepida

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Liliana Segre fa un gran discorso repubblicano e antifascista di ventitré minuti che è insieme ammonimento e testimonianza civile. “Proprio nel centenario della marcia su Roma tocca a me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia”, dice, e tutti si alzano in piedi, anche a destra. Ma la destra l’applaude troppo timidamente, quando, poco dopo, citerà Giacomo Matteotti e il 25 aprile. Freddezza glaciale quando raccomanda di spendere più tempo ad applicare la Costituzione che a provare a cambiarla: una critica ai progetti di presidenzialismo di Giorgia Meloni. Segre è netta, non rituale, non ecumenica. E’ potente. La senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah, la più anziana in questo emiciclo, fa un discorso sfacciatamente politico. Partigiano, verrebbe da dire: nel senso che queste sono le radici della nostra Repubblica. E non vanno stravolte. 

Dice: “In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione repubblicana, che, come dissePiero Calamandrei, non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100mila caduti nella lunga lotta per la libertà: una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofilaGiacomo Matteotti”.  

La storia giochi strani scherzi. Nel giorno del battesimo della destra avviata al governo, mai così forte e radicale, nel Senato della Repubblica tocca a una vittima del nazifascismo inaugurare la diciannovesima legislatura. Dice: “Le grandi nazioni dimostrano di essere tali anche nelle festività civili. Perché non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché dovrebbero essere divisive, anziché vissute con autentico spirito repubblicano, il 25 aprile, il 1 maggio, il 2 giugno?” A destra sembrano perplessi, come stupiti dalla qualità del discorso. Ignazio La Russa, che ha la casa pieni di cimeli sul Duce, e che stasera sarà il nuovo presidente del Senato, è seduto in prima fila. Silvio Berlusconi arriva  in compagnia di Licia Ronzulli, che lui sponsorizza per un ministero importante. Lotito, che gli sta davanti, subito si alza per omaggiarlo. Segre cita Mattarella e il Papa (applausi per entrambi) e Napolitano (la destra rimane immobile). Applausi bipartisan quando si è scaglia contro la politica urlata, le campagne d’odio e l’imbarbarimento del dibattito pubblico: lì tutti in piedi. “Il popolo ha deciso chi deve governare, questa è l’essenza della democrazia”, ricorda. Evoca il rispetto dei ruoli e rivendica la centralità del Parlamento e l’Unione europea, “che non deve lasciare indietro nessuno solo”.  

L’aula, va detto, è stata naturalmente rispettosa verso la nobile biografia di questa donna che ha confessato la sua vertigine di trovarsi su questo banco all’età di 92 anni, dopo che per colpa delle leggi razziali fu costretta a lasciare il suo banco alle elementari per colpa delle leggi razziali fasciste. Ma la storia non è neutra, e le culture politiche non conciliabili, questa è la sua lezione: ma comune dovrebbe essere l’aspirazione a voler bene a questa cosa chiamata democrazia. 

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