ROMA – Vuole chiarezza. E pretende di risolvere la questione una volta per tutte. “Io vado avanti, di certo non mi fermo – è la linea di Giorgia Meloni – E ho un vantaggio sugli altri: per giocare questa sfida di governo, devo avere almeno la speranza di poter fare bene”. La squadra deve essere all’altezza, insomma. I nodi vanno sciolti adesso, perché le emergenze da affrontare sono enormi e i tempi strettissimi. Se poi davvero Silvio Berlusconi volesse mettersi di traverso, rompere la delegazione unitaria del centrodestra e salire al Colle per imporre condizioni capestro – accompagnato dalla prossima capogruppo al Senato Licia Ronzulli – o se volesse addirittura provare a proporre un altro presidente del Consiglio al posto della vincitrice delle elezioni, gli effetti sarebbero deflagranti: “Solo se la maggioranza è coesa – ripete ai compagni di partito che le fanno visita nel suo ufficio di Montecitorio – può nascere un governo serio”. Come a dire: se ci sono le condizioni guiderò questo Paese, se pensano di ricattarmi o commissariarmi, ci metto un attimo a tirarmi fuori. E, prevedono i fedelissimi, a tornare al voto.
Quando le mostrano la foto del bigliettino in cui il Cavaliere la definisce “supponente, prepotente, arrogante e offensiva”, Meloni sceglie di replicare. Tutti immaginano la strada più classica: un’indiscrezione che si può sempre rettificare, ridimensionare, ritirare. E invece la leader lascia Montecitorio, scende in strada, attende la domanda dei cronisti, sferra il gancio a favore di telecamere. Lucidamente, volutamente. Osando maltrattare Berlusconi con un concetto, “non ricattabile”, che riporta ai tempi dei frontali tra il fondatore di FI e Gianfranco Fini. Un segnale talmente dirompente che impone una riflessione ulteriore: qual è il punto di caduta che ha in mente la vincitrice delle elezioni? E perché reagisce in modo così duro all’alleato, mettendo a rischio un record ormai a un passo, quello di diventare la prima donna a guidare Palazzo Chigi della storia d’Italia?
Meloni: “Gli appunti di Berlusconi? Manca un punto: non sono ricattabile”
Un frammento di verità lo sussurraIgnazio La Russa, mentre sorseggia un caffè alla buvette della Camera. “Piuttosto che farsi ricattare – spiega ad un esponente di Fratelli d’Italia – Giorgia se ne va a casa”. Sempre allo stesso punto, dunque, si torna: Meloni governerà, se avrà i numeri. E se invece Berlusconi volesse strappare, di certo non sceglierà strade contorte di piccole o larghe intese, né compromessi, men che meno l’unità nazionale dopo l’unità nazionale. E d’altra parte, il “metodo Senato” sta lì a dimostrare che non pensa di frenare: “Mica è suicida – ricorda sempre La Russa, parlando della strategia della leader per garantirgli l’elezione alla Presidenza di Palazzo Madama – aveva i numeri e lo sapeva. I voti credo siano arrivati da renziani, Pd e grillini”.
La verità è che è in corso un brutale cambio di fase. Che è insieme figlio di convinzioni radicate, cinismo politico, attrito generazionale. Qualche giorno fa, imbrigliata dai veti e delusa da vertici inconcludenti, Meloni ha compreso la necessità di uscire dall’angolo. E ha deciso di fare temporaneamente sponda con Matteo Salvini, il punto fragile dell’asse pensato da Lega e Forza Italia per imbrigliarla. Anche a costo di ridimensionare alcune pretese, ad esempio quella di avere un super tecnico al ministero dell’Economia. Il resto lo fa una distanza ormai anche personale dal Cavaliere, che lamenta di non essere ascoltato a sufficienza: “Matteo (Salvini, ndr) è sempre gentile e rispettoso, lei anche quando viene a casa mia risulta aggressiva, vuole imporsi”. Berlusconi deve però fare attenzione, perché tra gli azzurri cresce il malumore verso la linea dura.
Antonio Tajani aveva consigliato prudenza, sfidando la posizione di Licia Ronzulli. Soprattutto alla Camera, aumenta la pattuglia di governisti. Se nelle prossime ore gli eventi dovessero precipitare, si aprirebbe un solco e si imporrebbe una scelta: dentro o fuori dalla coalizione per Meloni premier. Non a caso, Lorenzo Cesa ha incontrato il meloniano Francesco Lollobrigida. Insieme hanno deciso di studiare una strada per permettere al gruppo Noi Moderati di costituirsi: mancano infatti i numeri e servirà una deroga, forse anche un “prestito” di parlamentari. Nei progetti centristi, diventerebbe un contenitore buono anche ad accogliere chi non volesse seguire il Cavaliere, se mai dovesse strappare. Senza Forza Italia, fanno di conto gli ex diccì, servono una decina di deputati e quattro senatori per raggiungere la maggioranza semplice nei due rami del Parlamento.