Il destino di Berlusconi: solo una donna poteva farlo cadere

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ROMA – Dunque ci voleva una donna per fare secco il Cavaliere. In tanti ci hanno provato a partire dal secolo scorso: in un paio di giorni c’è riuscita Giorgia Meloni, senza troppe chiacchiere e con perfetto tempismo impartendo la più severa e mortificante lezione al mostro sacro del sistema politico italiano. Le nuove leader femminili di destra, scriveva sul penultimo numero di Internazionale Slavoj Zizek, “si adattano bene a un’epoca che cerca di combinare l’autoritarismo con la sensibilità”. A giudicare dalla litania di aggettivi ingranditi dai cannoni dei fotoreporter – “supponente, prepotente, arrogante, offensiva” – negli ultimi due faccia a faccia Meloni deve essersi espressa con un sovrappiù di spietatezza barbarica. Ma il momento più terribile e a suo modo istruttivo, nella solitaria penombra di Villa Grande, è stato quando l’uomo per lungo tempo più ricco e potente d’Italia se n’è uscito, senza riconoscere che quel grido suonava contro se stesso: “L’ho creata io!”. Ecco, nulla più di quanto è accaduto in questi giorni dice con la necessaria crudezza dei rapporti di forza che proprio attraverso Giorgia Meloni sta finendo il tempo dell’invenzione e della manipolazione patriarcale.

Quante donne ha “creato” dal nulla Berlusconi! E quante energie ha speso per costruirgli addosso un destino, come in una fiaba, e combinare le loro esistenze sempre rifulgendo in lieta passione e generosa galanteria. A parte mamme e zie suore, la sua figura di maschio si è proiettata su un gran numero di femmine: mogli, ex mogli, amanti del primo e del secondo ciclo di intercettazioni, e poi figlie, deputate e senatrici scelte e fatte anche ministre, e olgettine, gemelline, ape regine, minorenni e così via. C’è tutta una letteratura, drammatica e spassosa a un tempo, sul rapporto tra Silvione e il femminile, nel cui scrigno segreto si scopriva che anche lui, in fondo, era un po’ donna, o comunque faceva riferimento alla mitologia androgina, per quanto il povero Bondi la buttasse sul maternale, “è una mamma, il presidente è una mamma!”.

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Ma poi, ritornato in auge e finalmente pregustando il traguardo di Padre della Patria, ecco che un brutto giorno gli si mette di traverso quella piccoletta di An che sempre lui a suo tempo aveva piazzato sulla poltrona dell’ineffabile ministero della Gioventù. “La Trottola” la chiamava con affettuoso paternalismo perché non stava mai ferma; e insomma “la Trottola”, che ha vinto le elezioni, prima lo fa girare e girare, anziano, malconcio e frastornato com’è, e poi gli dice: no, io faccio come mi pare e stavolta dei tuoi interessi non me ne importa nulla, prova a metterti contro, vediamo chi ci rimette e comunque non sono ricattabile; con il che la Draghetta, appassionata di fantasy, ha sgominato il vecchio drago – al quale, secondo Veronica moglie, si “offrivano vergini in pasto”.

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E allora, a maggior ragione: forse solo una donna non solo poteva, ma doveva farlo – per quanto all’esito abbia indirettamente e paradossalmente contribuito un’altra donna anch’essa da lui creata, Licia Ronzulli, sulla quale il Cavaliere si era incaponito. Perché la politica non sempre è un’arte feroce, ma quando si rivela tale c’è sempre un motivo che assomiglia a un insegnamento. Così viene in testa l’autunno del 2012, anniversario pieno, quando dopo la caduta e la condanna del Signore di Arcore Giorgia Meloni s’era messa in testa di fare le primarie nel Pdl, ma il Patriarca furbamente traccheggiava: un giorno diceva sì, un altro no, un altro ancora si rifiutava di cacciare i soldi, salvo poi liquidare la pretesa affidando il voto al call-center della “badante” di turno. Ebbene una mattina, con Rampelli e altri giovani ex di An, Meloni andò a fare un presidio sotto la sede di Forza Italia e più tardi raggiunse – inaudito! – Palazzo Grazioli. Qui con maschere bianche, cerotti sulla bocca e cartelli “Basta giravolte, basta dinosauri” la futura prima donna premier si candidò alle primarie, che però non si tennero mai. Il suo slogan era comunque: “Senza paura”. I social diffusero anche la sua foto. Un giornalista parlamentare commentò: “Aho’, pare bona!”. Lei rispose che l’immagine non era “truccata”. Poi, forse a riprova del mix di autoritarismo e sensibilità di cui scrive Zizek, pose la questione: “Ma sono così brutta dal vivo?”.

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