Il cantiere di governo del centrodestra si è già fermato. Bloccato dalla rumorosa lite fra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Il mancato voto dei senatori di Forza Italia a Ignazio La Russa e il risentimento vergato dal Cavaliere in un foglietto volante con i cinque ormai celebri aggettivi per l’atteggiamento della futura premier (supponente, prepotente, arrogante, offensivo, ridicolo) hanno scavato un fossato. Le parti in conflitto si sono prese 48 ore per fare sbollire l’ira: il leader forzista ad Arcore, la presidente di Fratelli d’Italia a Roma con la famiglia. Contatti diretti? Zero. È l’ora dei pontieri, guidati da La Russa e Gianni Letta, ma tutti si muovono con assoluta discrezione. E senza alcuna certezza sulla prospettiva che la frattura si ricomponga, o comunque su quale possa essere il punto di caduta. Meloni non ha alcuna intenzione di fare sconti: “Bisogna fare in fretta”, ripete. Ma respingendo qualsiasi diktat forzista: quel “non sono ricattabile” pronunciato venerdì sera resta lì, a rimarcare le distanze. La posizione di FdI si può tradurre con le parole di Edmondo Cirielli, capogruppo uscente al Senato: “A Palazzo Madama i numeri ci sono, anche se non larghissimi. Purché si resti tutti uniti, ma se qualcuno si sfilasse, si assumerebbe una enorme responsabilità innanzitutto verso gli elettori”. In casa Meloni si punta molto, insomma, sul fatto che FI mantenga il patto di coalizione e non si impicchi sulla difesa di Licia Ronzulli, la cui esclusione dalla lista dei ministri ha causato l’inasprimento dei rapporti. Fonti di Arcore continuano a far notare che “nessuno può imporre veti o nomi agli alleati”. Berlusconi si è privatamente scusato con i suoi per l’incidente causato dalla maldestra esposizione dei fogli con i non affettuosi aggettivi nei confronti di Meloni, ma nei fatti continua a essere allergico a quella che considera una postura troppo rigida da parte della presidente di FdI. E davanti alla determinazione della sua ex ministra, che ha fatto a meno dei voti di FI in Senato, ripete: “Vuole fare un governo senza di noi? E la fiducia chi gliela dà, Calenda?”.
Il sabato incornicia uno stallo improvviso, imprevisto. Berlusconi, in realtà, attende che sia Meloni a fare una proposta: potrebbe essere disposto ad accettare anche il no ricevuto sulla richiesta di avere la Giustizia e a mettere alle spalle il caso Ronzulli. “Ma servono compensazioni”, dicono i forzisti più vicini a lui. Per esempio lo Sviluppo economico. La leader della Destra, irritata, non ha alcuna intenzione di assegnare a FI un dicastero su cui è pronta a dirottare Guido Crosetto, che peraltro non ha smesso di fare azione diplomatica a tutto campo: in questi giorni ha sentito spesso Giancarlo Giorgetti (destinato all’Economia) ed è tornato a sondare la disponibilità dell’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato (per la Transizione ecologica). In ogni caso, Meloni non va oltre l’offerta di quattro ministeri per FI, fra cui gli Esteri per Antonio Tajani e la Pubblica amministrazione per Maria Elisabetta Casellati. La presidente di FdI e i suoi sanno di poter fare la voce grossa davanti a un partito dilaniato fra una corrente schierata con Ronzulli, che peraltro dovrebbe essere indicata come capogruppo al Senato, e un’ala governista rappresentata almeno simbolicamente da Tajani. E con il timore crescente, dentro Forza Italia, che questa contrapposizione interna si traduca in una scissione, o per lo meno in una fuga di alcuni parlamentari verso altri lidi. La coincidenza del lavorìo di alcuni esponenti di “Noi moderati”, d’intesa con FdI, per costituire gruppi autonomi alla Camera e al Senato, alimenta più di un sospetto: “Vedrete che quello sarà l’approdo di un gruppo di responsabili provenienti anche dall’opposizione”, scommette un navigante di lungo corso degli ambienti centristi come Osvaldo Napoli. L’incubo di Berlusconi: che stiano nascendo gli alfaniani del 2022? “Ma noi non faremmo partire mai un governo in questo modo: l’alternativa al centrodestra è il voto”, dice il parlamentare di FdI Raffaele Fitto. Tutto fermo, appunto, mentre Matteo Salvini, che ieri ha più volte sentito Meloni, scommette sulla pace: “Fra Giorgia e Silvio tornerà l’armonia”.