Scontro sulle vicepresidenze, Renzi: “No alla spartizione Pd-5S”

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ROMA – Il copione è sempre lo stesso. Nel centrodestra se le danno di santa ragione, ma poi – quando c’è da votare – magicamente si mettono d’accordo. Nel centrosinistra, invece, se le danno di santa ragione e basta. Neppure quando ci sarebbe da far fronte comune per tentare di alzare un argine alla maggioranza sovranista le tre opposizioni riescono a raggiungere un’intesa. È accaduto per la designazione dei presidenti delle Camere. Potrebbe ripetersi, domani, su quella dei vicepresidenti

Quattro le principali cariche da eleggere per ciascun ramo del Parlamento. Più i questori e i segretari d’aula che però sono posti meno appetibili. Due spettano al centrodestra, le altre due al resto delle forze politiche. E poiché si possono esprimere solo due preferenze, per prassi la maggioranza vota la sua coppia di eletti, le opposizioni la propria. E qui scoppia il caos perché alla vigilia del voto Pd, M5S e Azione/Iv che si fanno la guerra da tempo non sono stati in grado di trovare una quadra. Di più. Matteo Renzi – dopo aver tentato invano di convincere Fratelli d’Italia a dirottare un pacchetto di voti su un suo candidato (Maria Elena Boschi a Montecitorio) – ha puntato il dito contro l’asse demogrillino costruito, a suo dire, per escludere il Terzo polo. “Quelli che si stanno accordando con la maggioranza sono gli stessi che accusano noi di volere le poltrone. Gli accordi istituzionali devono garantire tutte le minoranze”, la denuncia del senatore di Rignano. “Se Pd e 5Stelle ci tenessero fuori sarebbe un atto di gravità inaudita, che dovremmo immediatamente porre all’attenzione del Presidente della Repubblica”. E siccome però l’altra metà del tandem, ovvero Carlo Calenda, si fida fino a un certo punto, ecco spuntare l’idea: se Letta e Conte dovessero “spartirsi tutte le vicepresidenze, noi non parteciperemo al voto”, annuncia il leader di Azione. Qualsiasi manovra nel segreto dell’urna verrebbe così impedita. Fermo restando che, qualora tale patto si materializzasse, renderebbe “evidente la scelta del Pd in termini di alleanze”. Per il futuro, in sostanza, diventerebbe impossibile qualunque coordinamento fra le opposizioni. Più esplicito il renziano Ettore Rosato: “L’esclusione del Terzo polo dai ruoli istituzionali creerebbe una frattura che non sarà più sanabile. Il sacrificio lo dovrebbe fare il M5S, che ha meno deputati e senatori del Pd”. Pretese assurde per i dem: “Sulle cariche elettive contano le regole e i numeri”, contrattacca il senatore Mirabelli. “La rappresentanza è proporzionale al peso politico. Dunque, a decidere sulle nomine sono stati gli esiti elettorali e non chissà quali accordi inventati da Renzi”. 

A ogni modo, in casa Pd la partita, strettamente legata a quella per le capigruppo, si gioca come sempre fra le correnti. Il segretario insiste per un poker di donne e dunque alla Camera l’uscente Debora Serracchiani (area Delrio, vicina) dovrebbe andare a fare la vice di Fontana, lasciando ad Anna Ascani (gradita a Letta) il posto alla guida dei deputati. Lei però vorrebbe restare dov’è, per cui potrebbe anche profilarsi uno scambio fra le due. Sempre che con un colpo di scena non spunti per la vicepresidenza Nicola Zingaretti. Al Senato ballano invece tre dame per due posti: Simona Malpezzi (capogruppo uscente, area Guerini), Valeria Valente (Letta) e Anna Rossomando (vicepresidente uscente, corrente Orlando). La prima e l’ultima potrebbero essere riconfermate, oppure scambiarsi i ruoli, anche se al Nazareno fanno il tifo per Valente. 

Il M5S, che oggi ne discuterà in assemblea congiunta, dovrebbe mantenere capigruppo Mariolina Castellone e Francesco Silvestri, mentre per le vicepresidenze sarebbero in corsa Stefano Patuanelli al Senato e Alessandra Todde alla Camera. Sempre che Renzi non riesca, anche a stavolta, a giocare un tiro dei suoi.

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