ROMA – Ore 13.32: fuga attraverso le cucine. Giorgia Meloni ha appena finito di pranzare al ristorante della Camera e sceglie un passaggio che sfiora i cuochi per gabbare la stampa. La leader ha in tasca una lista dei ministri che vuole condividere solo con Sergio Mattarella. E soprattutto: ha in testa una strategia per ridimensionare Matteo Salvini. La giornata sarà lunga e alla fine – nonostante gli sforzi – ci riuscirà soltanto in parte. Ottiene di sfilargli la delega al Pnrr, la cassa dei grandi investimenti, un colpo durissimo per il leghista: il dossier del Recovery finisce a Raffaele Fitto.
Non è ancora chiaro, invece, se sarà capace di sottrargli la gestione di porti e Capitaneria. L’obiettivo di Salvini è controllarli, come fino a oggi è sempre accaduto, attraverso le Infrastrutture, ma non è escluso che alla fine si decida che dovranno dipendere invece dal ministero del Mare e del Mezzogiorno di Nello Musumeci. Non riesce però a depotenziare il ruolo politico del leader della Lega, che sarà ministro e vicepremier. Ci teneva tantissimo, per presidiare il palazzo del governo dal suo interno. Avrà un ufficio e proverà a far fruttare la conquista. Così tanto che il primo post dopo la nomina mostra una scritta gigante e in grassetto – “Vicepremier” – e una quasi invisibile, “Ministro delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili”.
Segnali. Che la leader di Fratelli d’Italia prova almeno a contenere. Già tutto chiaro nel primo pomeriggio, quando Meloni sembra come invisibile. Sta limando gli ultimi nomi prima di salire al Colle. Il silenzio come arma estrema di difesa dall’assalto degli alleati. Salvini la chiama una, due, tre volte. Non riesce a parlarle. Allarmato, telefona a Ignazio La Russa. “Mi aiuti a capire? Giorgia non mi risponde, sai se ci sono novità nei ministeri?”. “Matteo, Mi dispiace, non posso dirtelo…”.
Le novità ci sono. La prima riguarda il Pnrr: la gestione di questa delega – e di quella sui fondi di coesione – sarà affidata a Fitto, che è anche ministro degli Affari europei. Il leghista ci resta di sasso, perché aveva programmato un tour in giro per l’Italia, seguendo la mappa dei progetti finanziati da Bruxelles. È un primo colpo. Non è l’unico.
Il secondo tempo si gioca nell’ufficio di Mattarella. Tra i nuovi ministeri, prende forma quello del Mare e del Mezzogiorno. È evidente che senza controllare porti e Capitaneria – e senza la Coesione – il dicastero di Musumeci assomiglierebbe moltissimo a un guscio vuoto in balia delle onde. Sono le ore in cui si fa strada allora l’ipotesi di un passaggio di deleghe, che avrebbe anche l’effetto di scippare a Salvini la sorveglianza dell’immigrazione che approda sulle coste italiane. D’altra parte, è difficile immaginare che un ministero senza portafoglio possa gestire una macchina complessa come quella della Capitaneria. La tensione aumenta, finché Meloni non fa sapere all’alleato che al momento nulla cambia. Il Carroccio lo mette immediatamente agli atti, lasciando trapelare che il ministero del Mare “non assorbirà le competenze attualmente in capo alle Infrastrutture”. In realtà, la partita è aperta. Ed è in questa ambiguità – che fa rima con possibilità – che la nuova premier giocherà il braccio di ferro con Salvini.
Ma a pesare è anche la questione politica (e geopolitica). La posizione del vicepremier, assai vicina alle ragioni della Russia di Putin, imbarazza la leader. Salvini da numero due del governo presidierà Palazzo Chigi (ma non dovrebbe essere nel Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica). Anche per questo la nuova premier ha voluto accanto a sé Alfredo Mantovano – vicinissimo a Washington – come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Per la stessa ragione si farà affiancare da Giovanbattista Fazzolari, il più convinto della resistenza di Kiev: avrà l’Attuazione del programma o diventerà capo di gabinetto. Tiene inoltre al suo fianco anche Guido Crosetto, alla Difesa. Nonostante le polemiche per i suoi precedenti incarichi nel settore privato.
Ma non basta. Meloni prepara trasferte internazionali: il viaggio a Kiev sembra per ora interdetto dalle bombe russe. Ma già domani – salvo sorprese – la leader vedrà a Roma Emmanuel Macron. Dall’esito del colloquio e dalla sintonia tra i due dipenderà anche la prima missione in una Cancelleria estera. Potrebbe infatti essere proprio Parigi, così preferirebbe Meloni. L’alternativa è Berlino. Farà di certo tappa nei prossimi giorni anche a Bruxelles, per un saluto a Ursula von der Leyen. E poi volerà a Varsavia: non solo perché governata dalla destra dura dell’Europa orientale, ma soprattutto per il legame ormai strutturale tra la Polonia e gli Stati Uniti.