Pensioni, il governo studia la “Quota flessibile”: via dopo i 60 anni con 35 di contributi

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ROMA – Mandare in pensione i sessantenni – o meglio chi ha tra 61 e 66 anni – con la “Quota flessibile”, che faccia cioè 100 o 102 in modo aritmetico e non rigido come ora. Tenendo fermo però un requisito di contributi minimo, pari a 35 anni. Questa è l’idea di flessibilità in uscita a cui guarda la neo ministra del Lavoro Marina Calderone, fresca di giuramento al Quirinale. “Sono onorata e orgogliosa di poter mettere il mio impegno a disposizione del Paese”, ha dichiarato all’uscita. “Il momento che stiamo vivendo necessita di soluzioni frutto di un rinnovato dialogo sociale”.

Il rapporto con i sindacati

Una frase detta anche per rassicurare quanti, sul fronte sindacale, temono che possa essere una figura di parte, da ex presidente dei consulenti del lavoro, troppo schierata con le aziende. “In questo momento è importante favorire il confronto per trovare soluzioni condivise”, dice Calderone. “A beneficio del mondo delle imprese, dei lavoratori dipendenti e autonomi e di un mondo del lavoro sempre più inclusivo, contrastando forme di disuguaglianza e povertà”. Il leader Cgil Maurizio Landini le concede un’apertura di credito: “Se ci ascolterà, avrà il nostro consenso. Ma servono risposte concrete su bollette, redditi, pensioni, precarietà, sicurezza del lavoro. Ci attendiamo di essere coinvolti, prima di prendere le decisioni”.

L’idea di “Quota flessibile”

Calderone ha le idee chiare su molti dossier che stanno per entrare nel vivo. A partire dalle pensioni. La sua idea di anticipare il ritiro per una parte dei lavoratori sessantenni così da favorire le assunzioni dei giovani è stata elaborata pochi mesi fa dalla Fondazione dei consulenti del lavoro. E consentirebbe l’uscita anticipata di circa 470 mila lavoratori. Da ministra, certo, Calderone dovrà tenere conto anche di proposte differenti, come Quota 41 sponsorizzata dalla Lega. Ma la sua “Quota flessibile” è quanto di più vicino a Opzione Uomo della premier Meloni e ad altre proposte di FdI.

Sessantenni da pensionare

Tutto parte da una considerazione di fondo. La riforma Fornero, secondo lo studio dei consulenti, ha “involontariamente rallentato il ricambio generazionale”. E “innalzato negli ultimi anni la quota di lavoratori over 60, influenzando, soprattutto in alcuni comparti, il ricambio generazionale”. I lavoratori tra 61 e 66 anni sarebbero 1 milione e 462 mila, il 6,4% del totale. La parte più numerosa si concentra tra 61 e 62 anni, quasi la metà dell’intera platea. Il 36% di questi sono nella Pubblica amministrazione. Seguono le attività manifatturiere, il commercio, i servizi alle imprese.

La somma aritmetica

Ecco dunque l’obiettivo: “Trovare una forma di pensionamento che possa dare input al mercato del lavoro con un circolo realmente virtuoso di ricambio generazionale”. La formula di “Quota flessibile” sarebbe dunque la risposta. “La nuova Quota dovrebbe essere attivabile non solo ad età più avanzate”, come i 64 anni di Quota 102. Ma anche prima, ricordando che “fra 61 e 62 anni ci sono quasi la metà dei lavoratori ultrasessantenni”. Allora, si chiedono i consulenti, perché chi ha 62 anni e 38 di contributi va bene per Quota 100 e chi ha 61 anni e 39 di contributi no? Come pure: con 64 anni e 38 di contributi esci con Quota 102, ma se hai 62 anni e 40 di contributi no.

Il taglio dell’assegno

La nuova “Quota flessibile” risolverebbe questi problemi. Accompagnando quasi mezzo milioni di lavoratori alla pensione, quelli tra 61 e 66 anni con un’anzianità contributiva superiore ai 34 anni e inferiore ai 41. Il passaggio tra una Quota “rigida” a una “flessibile” – secondo i consulenti – raddoppierebbe la platea dei beneficiari. Come rendere però questa proposta sostenibile per i conti pubblici? In due modi: ricalcolando con il metodo contributivo – “almeno parzialmente” – le quote di pensione che ricadono nel sistema retributivo (per gli anni lavorati fino al 1996) oppure con una “riduzione percentuale progressiva” della futura pensione per ogni anno di anticipo rispetto all’età di vecchiaia, fissata dalla Fornero a 67 anni e adeguata all’aspettativa di vita. In ogni caso, ci sarebbe un taglio dell’assegno.

 

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