Mosca al Teatro Dubrovka vent’anni dopo: così la strage degli ostaggi svelò il volto di Putin

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MOSCA – Il tempo non è bastato. Vent’anni dopo, Svetlana Gubareva è ancora inchiodata a quel 26 ottobre del 2002 in cui si risvegliò nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale numero 7 e ascoltò da una radiolina Vladimir Putin rallegrarsi per l’assalto che aveva liberato gli ostaggi del teatro Dubrovka sequestrato da un commando ceceno. Un “successo” per il presidente russo, nonostante i 130 morti. “Non abbiamo potuto salvarli tutti, perdonateci”.

Ma vent’anni dopo non c’è perdono, soltanto collera e dolore per quelle vittime che si sarebbero potute evitare. Soltanto cinque furono giustiziate dai terroristi. Le altre 125, tra cui 10 bambini, morirono a causa del gas usato dalle forze speciali per narcotizzare l’intero teatro e dell’insensata decisione di non rivelare neppure ai medici che sostanza fosse.

“Gli interessi dello Stato vengono prima di quelli del singolo. Questa è la nuova ideologia russa. L’ideologia di Putin”, commentò la giornalista Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006. “È stato allora, con l’ascesa al trono del Cremlino di Vladimir Putin e il fragore delle bombe all’inizio della seconda guerra cecena, che la Russia ha commesso il suo primo errore, tragico e immorale, da imputare alla sua patologica incapacità di riflettere”.

Svetlana Gubareva: “Io non ricordo quelle 57 ore in ostaggio. Le vivo”

“Io non ricordo quelle 57 ore in ostaggio, le vivo”, singhiozza Gubareva, gli occhi stropicciati dalle troppe lacrime. Come ogni anno, è arrivata a Mosca dalla sua città, Karaganda in Kazakhstan, per mettere un fiore sulla tomba della figlia e partecipare alla commemorazione insieme agli altri sopravvissuti e familiari delle vittime che si concluderà con 130 palloncini bianchi liberati in aria.

La locandina del musical “Nord-Ost” e il teatro Dubrovka nei giorni dell’assedio 

Ancora oggi, a 65 anni, Gubareva non riesce a perdonarsi. Il 23 ottobre del 2022, mentre infuriava la seconda guerra cecena, aveva acquistato gli ultimi tre biglietti per l’applauditissimo musical alla Dubrovka Nord-Ost ispirato al libro Due capitani dello scrittore sovietico Veniamin Kaverin.

Voleva festeggiare la domanda di visto americano per sé e la figlia 13enne Sasha, Aleksandra Letjago, che avrebbe dovuto segnare l’inizio di una nuova vita in Oklahoma insieme al compagno statunitense 59enne Sandy Alan Booker conosciuto per corrispondenza.

Svetlana Gubareva nel 2002 insieme alla figlia tredicenne Sasha e al compagno statunitense Sandy Cooper morti nell’assalto al teatro Dubrovka 

All’inizio del secondo atto, Gubareva attende la scena dell'”atterraggio” di un aereo di cui allora parlava tutta Mosca, ma sul palco irrompono uomini dal volto coperto che iniziano a sparare in aria. Vogliono che Putin ritiri le truppe dalla Cecenia. Iniziano quelle 57 ore che Svetlana “vive” incessantemente.

Oltre 900 spettatori raggelati nelle loro poltrone davanti a un palcoscenico deserto. Uomini che camminano nervosamente su e giù per il teatro col mitra in mano e le “vedove nere” con le cinture esplosive sedute lungo i corridoi. La buca dell’orchestra trasformata in latrina e l’odore nauseabondo che si diffonde in platea. L’uccisione di un uomo e una donna sbucati dal nulla, l’ostaggio che dà di matto causando l’esecuzione di un terzo. Immagini seguite da milioni di telespettatori in tutto il mondo per due giorni e tre notti fino all’irruzione delle teste di cuoio russe.

Le “vedove nere” cecene asfissiate dal gas usato nel teatro Dubrovka 

Il raid con il gas nel teatro Dubrovka all’alba del 26 ottobre 2022

Tra i 912 ostaggi, c’è anche un quattordicenne, l’ex attore del musical Nord-Ost Aleksej Chuvaev. Dopo aver impersonato il personaggio soprannominato “Alto” per due anni, il 23 ottobre era andato a vedere il musical da spettatore e per vedersi con un attore della compagnia. “Quando i terroristi hanno fatto irruzione, sarei potuto scappare da una porta sul retro, ma ero immobilizzato dalla paura”, racconta oggi nel suo appartamento a Lytkarino nei pressi di Mosca mostrandoci una vecchia locandina del musical.

Aleksej Chuvaev, oggi 34enne, ex attore del musical Nord-Ost, sopravvissuto all’assedio del teatro Dubrovka 

La mattina del 26 ottobre, Chuvaevviene svegliato dal vicino che lo avverte che sta succedendo qualcosa. Sente dei passi e scorge un vapore scendere dall’alto. “Ho avvertito una sensazione molto strana, quasi piacevole. L’ultima cosa che ricordo è un terrorista che inizia a sparare nei corridoi. Ho aperto gli occhi la prima volta in un autobus, c’era gente seduta, altra stesa per terra. E poi in ospedale dove ho visto stendere un uomo sul pavimento. Sembrava morto. Io invece ce l’avevo fatta. Ma non riuscivo a parlare né a muovermi. Oggi ogni tanto soffro di perdita di memoria e del senso di orientamento nello spazio, ma non so dire se sia colpa del gas o dello shock. Non mi faccio domande. Mi sembra inutile. Come tutti, capisco che vennero fatti degli errori, ma convivo con questa consapevolezza. Preferisco andare avanti” .

I negoziati falliti per liberare gli stranieri

Gubareva invece non si rassegna. Quella mattina di vent’anni fa, non vide il gas. Cittadine del Kazakhstan, lei e la figlia Sasha facevano parte insieme al compagno americano Sandy del gruppo di stranieri che i terroristi avevano promesso di liberare perché la loro era una crociata contro la Russia, non contro il resto del mondo.

“Leggendo i documenti, ho scoperto che le autorità avevano chiesto di liberare prima donne e bambini e non gli stranieri. Come se tra gli stranieri, non ci fossero donne e bambini! Ma alla fine i terroristi avevano negoziato con le ambasciate. Ci avrebbero dovuto liberare alle otto del mattino. Ci eravamo addormentati confortati da quella promessa. Ma il mio sonno si è trasformato in coma. Al risveglio in ospedale, avevo sete, ma ogni sorso vomitavo un liquido color cioccolato. Era il mio sangue. I miei organi, cervello compreso, erano stati compromessi. Ho avuto una sorta di ictus. Ma sono sopravvissuta”.

Vittime del gas e sopravvissuti in un bus usato per evacuare il teatro Dubrovka dopo il blitz (afp)

La figlia Sasha invece è stata trovata su un autobus, il corpicino schiacciato da un’altra trentina di ostaggi scaraventati alla rinfusa. I medici hanno tentato di rianimarla, ma non c’è stato nulla da fare. Con Sandy non ci hanno neppure provato. Eppure i loro certificati di morte non dicono nulla.

Dmitrij Milovidov, presidente dell’Associazione Nord-Ost

Su quello di Nena Milovidova invece c’è scritto: “Alle 13.10, esperti di medicina legale si avvicinano all’autobus della linea 12, targa P980TO99, e rimuovono il cadavere numero 11 e lo mettono a faccia in su per l’ispezione”.

Dmitrij Milovidov ripete a memoria. È un altro genitore per sempre condannato a naufragare nell’abisso di quell’ottobre. Noncurante della pioggia che batte, ci mostra il monumento con le gru in volo voluto dalle autorità dedicato anonimamente alle “vittime del terrorismo” e la lapide con i 130 nomi degli ostaggi morti nel teatro chiesta dai familiari nascosta in un angolo della facciata del teatro Dubrovka, oggi sigillato. “Lontano dagli occhi, fuori dai cervelli. Volevamo che fosse più visibile. Quando ho protestato, mi hanno risposto: “Volete un memoriale all’impotenza dello Stato in bella vista?””.

Dmitrij Milovidov, oggi, davanti alla lapide semi-nascosta in memoria delle vittime  

Anche Milovidov continua a rivivere quella sera del 23 ottobre quando sbucò dal metrò per andare a prendere le figlie Nina e Lena di 14 e 12 anni al termine dello spettacolo e trovò Dubrovka ulitsa bloccata da un pullman. “I primi poliziotti a cui chiesi che cosa fosse successo mi risposero di tornare a casa e accendere la tv. Alle mie insistenze, mi indicarono una camionetta della polizia. Ma lì trovai soltanto Lena che era stata liberata quasi subito insieme ad altri bambini”.

Dmitrij Milovidov, nel 2002, insieme alla figlia Nena morta nell’assalto al teatro Dubrovka 

“Ninochka – continua – è morta per le mancate cure dopo aver inalato il gas. Mentre vagavamo tra gli obitori per cercarla, le autorità si distribuivano medaglie invece di studiare gli errori e non ripeterli più. Oggi il mio dolore maggiore è che due anni dopo ci sia stato l’attacco a Beslan, nell’Ossezia del Nord, dove ci furono 330 morti, di cui 186 bambini. Non siamo riusciti a svegliare i burocrati”.

Le denunce respinte dalla giustizia russa

Eppure Milovidov ci ha provato. Presidente dell’Associazione Nord-Ost, insieme agli altri familiari, ha presentato “decine” di denunce, tutte respinte dalla giustizia russa. Ha persino denunciato “il cittadino Vladimir Putin” per aver detto in un’intervista che quel gas tuttora sconosciuto fosse “innocuo”.

Nel 2011 la Corte Europea per i diritti umani ha condannato la Russia per non aver individuato i responsabili del mancato coordinamento dei soccorsi, ma non è servito.

ll blitz delle forze speciali il 26 ottobre 2002 

A vent’anni dalla tragedia, sono ancora tante le domande senza risposta. Come hanno fatto i terroristi a raggiungere il centro di Mosca inosservati e a piazzare così tanti esplosivi nel teatro? Che tipo di gas è stato usato? Perché non è stato distribuito un antidoto? Perché le ambulanze sono rimaste bloccate negli ingorghi? Come hanno fatto i terroristi a piazzare così tanti esplosivi nel teatro?

Non sono domande sterili, insistono Gubareva e Milovidov. “Dicono di aver usato il gas per evitare che i terroristi facessero saltare in aria il teatro e che le autorità russe fossero screditate. La mia famiglia è morta per evitare il discredito della Russia”, martella Gubareva che cura un sito dedicato alla memoria delle vittime e ha promosso la pubblicazione di un libro.

A dargli il titolo è stata la frase trovata iscritta sul palmo di una quattordicenne asfissiata dal gas, Dasha Frolova: “Non moriremo, basta che non ci sia più guerra”. Parole che suonano tanto più drammatiche ora che Putin ha trascinato il Paese in un nuovo conflitto contro l’Ucraina.

“Spesso mi accusano di diffamare la Russia. Ma l’unica cosa che voglio è che non ci siano altri morti”, commenta Gubareva. “Dobbiamo ricordare Dubrovka perché non dobbiamo essere passivi davanti alle autorità. Un’amica russa che si oppone al governo mi ha detto: ‘Ho lottato, ma non sono riuscita a prevenire quello che è successo’. Dobbiamo lottare meglio”. Ma Milovidov è rassegnato. “Con l’offensiva in Ucraina, le file dei familiari delle vittime del terrorismo s’ingrosseranno. Gli attentati sono già iniziati”.

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