Che cosa fa un cittadino a cui non piace vedere scritta la parola nazione con la enne maiuscola? Che cosa fa se non crede nell’esaltazione tronfia e antistorica dell’orgoglio italiano e del “valore dell’identità”, soprattutto quando la si esibisce come monolitica? Che cosa fa se trova inopportuni i continui richiami a figure non laiche, o a un’idea di famiglia statica, tradizionale, impermeabile ai cambiamenti sociali? Che cosa fa, insomma, un cittadino che si sente all’opposizione? Si limita ad attendere i tempi elefantiaci del congresso del Partito democratico? Continua a illudersi che quanto auspicato l’altro ieri dal segretario uscente Enrico Letta – un cambiamento del vocabolario, dell’atteggiamento – si compia in un futuro prossimo? Ma è già tardi, è tardissimo. Tacerà dunque, incasserà i colpi inferti quotidianamente alla sua fedeltà politica, al suo senso delle parole e delle cose? Si limiterà a confidare in una opposizione parlamentare energica ed efficace? O cercherà di contribuire all’apertura di nuovi spazi di partecipazione e democrazia?
L’unica cura per il Pd è imparare a opporsi
di Carlo Galli
D’altra parte, il cittadino che si sente rappresentato e pienamente tutelato dal governo in carica potrebbe, con piena legittimità, rispondere al cittadino “antagonista” che prima o poi tocca a tutti stare all’opposizione. Vero. E Letta stesso ha insistito sulla necessità di cambiare “la nostra testa e il nostro modo di porci rispetto a una politica che ci ha visto negli ultimi anni sempre al governo”. Ma c’è da aggiungere che il cittadino all’opposizione – tanto quanto il cittadino che si è astenuto, rappresentante dell’unico non-partito davvero maggioritario – potrebbe sentirsi a ogni modo privo di rappresentanza. Condannato a un’attesa, a un limbo di inerzia.
A un disorientamento che si fa più frustrante se si cerca di non scivolare in una indifferenza apatica, in un cinico “e che sarà mai!”. Quello a cui, dopo una accesa militanza antiberlusconiana, sembrano essersi arresi anche parecchi intellettuali – rassicurati dalla lunga, opaca stagione di quiete governativa tecnico-politica. Oppure persuasi, uscendo dal ventesimo secolo, che l’engagement andasse trattato come una deriva macchiettistica da cui tenersi alla larga. I dibattiti, comunque sterili, sulla fine dell’impegno sono stati surclassati da uno sperticato, gaudente, ironico elogio trasversale del disimpegno. Qualche volta perfino stizzito: “Che volete da me? Io scrivo i miei romanzi, e tanto basta!”.
Non ci siamo accorti che il Paese è cambiato
di Giacomo Papi
Non basta, ma è andata così. Senza nemmeno la piena coscienza di quanto poco agissero e agiscano quei romanzi, su quale pezzo di mondo – sempre più piccolo, sempre più eroso – abbiano una qualche presa. Chiusi in una versione parallela (e talvolta altrettanto sussiegosa) del congresso del Pd, ci siamo distratti. Credendo che nei saloni, nei festival, nelle presentazioni di libri fissate quasi ogni pomeriggio ci fosse, ci sia tutto ciò che basta per sentirsi a posto con la coscienza. Impegnati nell’esercizio quotidiano di riconoscerci fra simili, non avremo forse sottovalutato qualcosa? Un rischio di perdere di vista territori contigui e sempre meno reattivi, l’inserimento di un pilota automatico buono per tutte le stagioni, un generatore automatico di risposte nobili che però ha dimenticato le domande.
Dico diversamente: quanto abbiamo davvero saputo sperimentare, in questi “anni fra cane e lupo”? Quanto ci siamo messi in discussione? Quanti schemi abbiamo saputo mettere alla prova, e quanti ne abbiamo rotti? Quanto abbiamo guardato fuori dall’area di gioco, a chi si asteneva e continua ad astenersi dalla pratica della lettura (mezza Italia, larga quasi quanto quella che non vota)? Non siamo stati fermi, ma non per questo abbiamo guadagnato spazi nuovi.
Né eravamo blindati nei “salotti” di cui con scherno parlano Meloni e Salvini (nemmeno esistono più!), ma è accaduto che quella fosse l’impressione. E quanto abbiamo combattuto concretamente le diseguaglianze e le ingiustizie che nascevano dentro il nostro stesso piccolo mondo (caporalati nelle grandi tipografie, illegalità nei tempi di pagamento delle fatture, redditi insostenibili, mancate retribuzioni, forme di precariato intellettuale indecenti, mortificazioni effettive della dignità, totale assenza di tutele sindacali)? Qua e là un selvaggio individualismo – vuoi per autodifesa, vuoi per disabitudine, vuoi per narcisismo ai livelli di guardia – si è nutrito anche delle nostre paure. Lasciando il fiato corto a ogni slancio autenticamente collettivista. E ora?
Il nuovo lessico per rifondare la Sinistra
di Massimo Recalcati
Gli intellettuali delusi guardano con attendismo perfino benevolo al nuovo governo o lo rigettano senza fare lo sforzo di comprenderne le ragioni. Ma c’è uno spazio sterminato fra servo encomio e codardo oltraggio: c’è un’occasione straordinaria per darsi da fare, per non smettere di proporre una visione alternativa del mondo, per non vedere come nemici gli elettori di una parte avversaria ma come interlocutori potenziali, per ascoltarli, per rigenerare il dibattito pubblico, per rinnovarci e rinnovare quelle vecchie bellissime “sezioni” che chiamiamo saloni e festival, per agganciare alla pur necessaria promozione culturale l’ambizione di un disegno di istruzione permanente degli adulti che possa perfino permettersi di non calcolare il merito.
Un’opposizione culturale che traduca la scelta di essere contro anche nell’occasione di essere per. Per qualcosa di diverso, un’altra idea dell’Italia.
Il dibattito su RepubblicaSono intervenuti: Michele Serra, Francesco Piccolo, Stefano Massini, Massimo Recalcati, Chiara Saraceno, Emanuele Trevi (intervistato da Raffaella De Santis), Isaia Sales, Luciano Violante, Chiara Valerio, Gianni Riotta, Nichi Vendola, Luigi Manconi, Dario Olivero, Giacomo Papi, Daniela Hamaui, Michela Marzano, Linda Laura Sabbadini, François Hollande (intervistato da Anais Ginori), Carlo Galli, Emanuele Felice (intervistato da Eugenio Occorsio), Natalia Aspesi, Javier Cercas (intervistato da Alessandro Oppes), Roberto Esposito, Gianni Cuperlo, Bruno Simili (intervistato da Eleonora Capelli), Giorgio Tonini, Franco Lorenzoni, Pietro Ichino