Sinistra, fai qualcosa di darwiniano

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Qualche anno fa Peter Singer, filosofo della liberazione animale, scrisse un pamphlet intitolato Una sinistra darwiniana. Di fronte al crollo del comunismo e alla crisi dei grandi ideali socialdemocratici, sosteneva, occorre interrogarsi non solo sulle dinamiche evolutive in atto nelle società, ma anche sulla natura umana e le sue tendenze speculari a competere e a cooperare. Singer dava indicazioni: se il dilemma è altruismo contro egoismo, conviene scegliere l’altruismo. Ciò è possibile perché l’evoluzione umana, a differenza di quella naturale (lentissima e non finalizzata), può piegarsi in base a modelli culturali più utili al benessere collettivo. In altre parole, l’evoluzione può essere consapevole, e ciò avviene quando la politica si lascia guidare da valori con cui pensa e informa la società.

Uscito nel ’99, il libro di Singer è per molti versi datato, ma le sue idee sono ancora valide, a cominciare dal titolo. Che cos’è infatti una sinistra darwiniana? In generale, è una sinistra che trovi evolutivamente il suo aggancio con il mondo in cui è. Non c’è evoluzione se non c’è rapporto con l’ambiente di vita e idee in cui ci si trova. Eccolo allora, il primo problema della sinistra italiana: l’aggancio con il mondo. Sono anni che molti dei suoi dibattiti sono fermi nello iato tra parole e mondo, ed è uno iato che può essere dolorosamente ampio, perché in mezzo ci siamo noi. Invece la politica dovrebbe essere proprio questo: la cura dello iato che separa le persone, perse in una realtà difficile da comprendere e da abitare, e le istituzioni che dovrebbero garantire loro stabilità esistenziale, spingendole nel futuro.

Ora, sarebbe ingeneroso dire che la sinistra italiana non intuisca questo iato. Intuirlo e curarlo però non sono la stessa cosa. Ed è proprio questo il problema: come può la sinistra italiana fare il salto evolutivo necessario per la sopravvivenza dei suoi valori e delle sue politiche? Bisogna trasformare quell’intuizione in visione.

Il primo punto strategico di quest’evoluzione allora è questo: la sinistra deve imparare a vedere il mondo, anche perché questo mondo vede già chiaramente se stesso e ha bisogno di chi gli dia voce.

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di Eleonora Capelli

20 Ottobre 2022

Eccolo il mondo: i nuovi italiani, che sono già di colori diversi rispetto all’immaginazione di chi oggi li governa; le donne, che non sono soggetti deboli ma spesso indeboliti; le persone Lgbtq+, le differenze, i margini, i poveri. E poi coloro per cui la scuola, pubblica e senza classismi “meritocratici”, è importante; il global warming esiste; la scienza può salvarci la vita; un ambiente sano e meno gerarchico è un diritto, e un diritto è scegliere sulla vita che diamo e la morte che vogliamo. Lo scatto evolutivo che è richiesto alla sinistra è vedere e rappresentare tutto ciò.

Secondo punto: altruismo, cooperazione. Aggiungerei “simpatia”, intesa come capacità di condividere patimenti e sentimenti (non parlo del sentiment misurato dai sondaggi). Si leggeva su queste stesse pagine dell’incapacità della sinistra di dare ascolto alla “melanconia di classe”, di quei working class heroes bloccati nell’ascensore sociale generazionale.

La verità è che c’è una varietà di tonalità emotive di generazioni diverse che guardano alla sinistra con scetticismo, rancore, frustrazione, ma anche speranza, allegria, ironia, e perfino gratitudine: gratitudine per il suo fare da sponda agli spettri terrificanti che si aggirano per l’Europa, e non solo.

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di Natalia Aspesi

16 Ottobre 2022

Una sinistra darwiniana deve ascoltare queste emozioni che non sono soltanto la pancia ma anche il cuore, l’anima delle persone. Come si fa? Prendendole sul serio. E superando il male speculare alla melanconia di classe, ovvero la schizofrenia di partito. (Come diceva Singer? Cooperare conviene). Verrebbe da dire: si alzi il Pd dal lettino del terapista, e capisca chi è davvero.

Anzi, scelga che cosa vuole essere: se un partito della gente o di sussiegose, antipatizzanti élite. E di fronte alle accuse di essere radical chic, scelga di essere più radical (ossia attento agli individui) e meno chic (ossia più affettuoso verso il mondo).

Come far ripartire l’opposizione culturale

di Paolo Di Paolo

29 Ottobre 2022

Non ci sono ricette per l’evoluzione. Qui però si tratta di sopravvivenza: e non di un partito (sarebbe poca cosa) ma di un discorso, di valori che non possono scomparire senza portarsi appresso le aspirazioni e i sogni di milioni di persone. Il rischio è anche che, perso l’aggancio, questo mondo a sua volta si evolva sotto la pressione di chi trasforma le sue spinte altruistiche in rancori egoistici e competitivi, confondendo la sovranità dei diritti con il sovranismo delle istanze di parte.

Insomma, fai qualcosa di darwiniano, sinistra: buttati nel mondo, vedi tutta questa gente, e non aver paura delle sue paure. Non aver paura della sua anima. Non aver paura di avere un’anima. Anzi: fatti anima. È questa la rivoluzione che stiamo aspettando.

Il dibattito su RepubblicaSono intervenuti: Michele Serra, Francesco Piccolo, Stefano Massini, Massimo Recalcati, Chiara Saraceno, Emanuele Trevi (intervistato da Raffaella De Santis), Isaia Sales, Luciano Violante, Chiara Valerio, Gianni Riotta, Nichi Vendola, Luigi Manconi, Dario Olivero, Giacomo Papi, Daniela Hamaui, Michela Marzano, Linda Laura Sabbadini, François Hollande (intervistato da Anais Ginori), Carlo Galli, Emanuele Felice (intervistato da Eugenio Occorsio), Natalia Aspesi, Javier Cercas (intervistato da Alessandro Oppes), Roberto Esposito, Gianni Cuperlo, Bruno Simili (intervistato da Eleonora Capelli), Giorgio Tonini, Franco Lorenzoni, Pietro Ichino, Paolo Di Paolo

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