BOLOGNA – La creatività salverà il mondo. Come? Creatività nell’usare nuovi ingredienti, nel forgiare un modo nuovo di cucinare e mangiare, nel prendere consapevolezza che il mondo sta cambiando. Anche questa è sostenibilità reale. “Che cosa incrocia l’esperienza umana con la natura? La creatività. Il settore alimentare e la cultura del cibo si basa su questo, cioè sulla possibilità di sommare e forgiare le cose, sulla base dell’esperienza di ognuno di noi. Ognuno può esplorare qualcosa che gli altri non conoscono, mettendo insieme gli elementi presenti in natura con la propria conoscenza. Rivoluzione è questo e ognuno di noi ne può essere protagonista, ognuno può avere approccio al cibo basato sulla propria capacità di innovare”. Una chiave, quella emersa dalle parole di Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica, che apre una nuova luce sul tema della sostenibilità. Una parola abusata. “Un conto è parlarne, un altro è farla davvero e farla diventare elemento delle nostre vite”, sottolinea il direttore del Gusto, Luca Ferrua. Ed ecco che Il Gusto, nel secondo e ultimo giorno del festival C’è più Gusto, a Bologna a Palazzo Re Enzo, cala il jolly e chiama a raccolta sul palco della Sala degli Atti di Palazzo personalità che hanno fatto della sostenibilità reale il proprio pane quotidiano. Un dialogo a cui hanno preso parte Maura Latini, ad Coop Italia, Francesco Pizzagalli, dell’ Istituto valorizzazione salumi italiani, e gli chef Enrico Cerea del ristorante Da Vittorio (Bergamo) e Rodolfo Guzman del Boragò di Santiago del Cile, migliore al mondo per il rapporto con il green , studioso di compatibilità ambientale. Un convegno in cui il Gusto ha provato a dare risposte concrete a temi di urgente attualità come lo sono quelli che ruotano intorno all’ambiente e al futuro di tutti noi.
“Nel rapporto fra noi e il mondo che ci circonda serve equilibrio fra conoscenza e responsabilità. Conoscenza vuol dire essere aggiornati sul fatto che le risorse sono limitate e sulla necessità di lasciare alle nuove generazioni un pianeta più pulito. La responsabilità invece, sentita soprattutto da chi si occupa di imprese e cibo, sta nel gestire un bene tenendo presente i doveri che abbiamo nei confronti del mondo che ci circonda. Non c’è sfida più difficile, perché questo significa occuparsi dei dettagli nella produzione, della distribuzione e dell’alimentazione, anche nella scelta degli ingredienti”.
Scelta che avviene in primis fra le corsie dei supermercati, ed ecco che la grande distribuzione ha un ruolo sempre più centrale. Lo sottolinea Maura Latini: “La Coop sta facendo dei passi importanti per portare la sostenibilità nel quotidiano. Il cibo impatta per il 70% sulla carenza di acqua e il 20% sulle emissioni di Co2, produrre e consumare in un modo o in altro fa la differenza. Il nostro ora non è un modello sostenibile. Ma si possono modificare le cose con l’informazione, con cambiamenti profondi nelle imprese che devono pensare al futuro”. E il lavoro, unito all’etica, è il primo obiettivo su cui accendere un faro. “L’Italia è un Paese fragile da questo punto di vista, e rispettare il lavoro comporta grandi controlli, anche oltre quelli previsti dalla legge. Le imprese hanno bisogno di aiuto da parte del governo che deve legiferare e controllare”. Guardando al futuro, “anche l’evoluzione tecnologica può dare contributi – continua Latini – La sfida per noi è rendere sostenibili i prodotti su grandi volumi, rendere la produzione intensiva sostenibile per l’ambiente per chi ci lavora garantendo sicurezza e qualità rispettando benessere degli animali. Sui prodotti a marchio coop abbiamo leve per poter incidere, ricercando l’efficienza, e trovando il prezzo giusto al cibo sostenibile, che è un bene primario”.
Obiettivo condiviso da Pizzagalli: “Come istituto che rappresenta la quasi totalità della salumeria italiana,– dopo anni di choc finanziari, pandemia e guerra – abbiamo capito che la nostra mission è anche percorrere uno sviluppo sostenibile. Le aziende devono produrre profitto, lavoro e benessere, ma tutto ciò deve avere una legittimazione sociale. Per questo coltiviamo anche il rapporto con le università come Sant’Anna di Pisa, per approfondire la conoscenza per capire a quale realtà stiamo andando incontro e cosa noi possiamo fare. In questo lavoro abbiamo capito che l’ambiente è un caposaldo, ma anche la parte sociale è fondamentale: senza formazione e coinvolgimento, la sostenibilità non c’è, non può essere solo nella testa dei manager. Abbiamo imprese grandi e piccole, ma il comune denominatore è il personale. La differenza fra chi è bravissimo e chi condivide il modello di sviluppo di impresa porta il primo a fare un lavoro perfetto, il secondo invece si butta nel fuoco per arrivare all’obiettivo che avete individuato insieme: questa è condivisione, e cos’ si possono cambiare le cose”.
Il capitale umano è al centro anche del lavoro degli chef che operano nel fine dining, dell’alta cucina. Chicco Cerea ne ha la prova ogni giorno nel suo ristorante: “La forza sta nel coniugare conoscenza, responsabilità e persone. Sappiamo tutti quanto sia difficile trovare collaboratori validi, che ti seguano, che ti aiutino a far crescere la tua azienda. Il Covid ha dato un’accelerazione enorme ad alcuni fattori, ma su certe cose siamo tornati indietro. Si correva troppo. La pandemia ci ha insegnato a goderci i nostri hobby, la nostra famiglia. Ed è arrivata una rivoluzione positiva, che ha portato fatica, ma ci siamo resi conto anche che è bello arrivare sul posto di lavoro con serenità e fare ogni giorno ciò che dobbiamo fare. Il migliore insegnamento è l’esempio e così abbiamo cambiato molte cose, aumentando anche il personale. La vita è una e dobbiamo anche godercela. Oggi serve ancora maggior impegno e lo fai se hai squadra affiatata”.
Un insegnamento profondo arriva dall’altro lato dell’oceano. Boragò – come sottolinea Ferrua – è uno dei ristoranti più influenti del mondo nella sostenibilità, che è e deve essere quotidianità. “Il Cile è un Paese diverso dall’Italia, è la dispensa selvaggia più grande del mondo. Sei anni fa abbiamo iniziato questo viaggio che si chiama Boragò, abbiamo aperto il ristorante, e la nostra storia è fatta di un mare è molto freddo, una montagna è più alta e con temperature inferiori all’Europa”. Ma quando si arriva da lontano, è ancora più bello scoprire nuovi orizzonti attraverso la tavola. “La mia prima volta in Italia è stata tanti anni fa, con un cuoco del Sud che io ho amato moltissimo: Gennaro Esposito (presente in sala a Bologna, abbracci e applausi, ndr). In una degustazione con giornalisti da tutto il mondo, arrivano tre piatti eccezionali: un brodo bellissimo di frutti di mare, lo provo, sapori intensi pazzeschi, ma la pasta è cruda. Poi altri due, piatti splendidi, ma ancora pasta cruda. Resto basito, questa è una rivoluzione nella mia testa. Ma così ho imparato e capito la cucina italiana. Gennaro mi ha fatto conoscere anche la mozzarella di bufala, mai mangiata in Cile, la cosa più deliziosa che ho provato nella mia vita! Anche questa è sostenibilità. A Boragò abbiamo piccoli foragers dalla Patagonia, ingredienti che vengono dalla montagna unici dal mondo, il mio Paese è molto lungo, non è rotondo, e mi piace cucinare con prodotti che vengono da un arco di 4mila km di distanza, è troppo importante assaggiare i prodotti di piccoli artigiani”
Una rivoluzione, dice Guzman, che – come chiosa Ferrua – è in primis uno scatto mentale, e per lo chef cileno lo è stato assaggiare la cucina italiana. Concetto messo a fuoco da Molinari: “Questo è uno degli aspetti più belli del nostro lavoro -chiosa il direttore di La Repubblica – Qui sul palco con Guzman abbiamo ascoltata una esperienza umana che ha il suo focus proprio sulla creatività”. “Va tenuto presente il tema dello spreco – dice Pizzagalli – si spende per produrre e poi si spende di nuovo per smaltire. Il 70% della roba buttata via era in capo alle famiglie, quindi il lavoro lo deve fare le imprese ma anche tutti i cittadini.
E nei ristoranti di alta cucina come si declina la sostenibilità? Per Cerea oggi è tornato in auge il valore dei piccoli negozi e degli artigiani che possono dare un contributo importante alla causa per il loro lavoro a basso impatto. Ma si può andare oltre: “Durante la fase critica della pandemia mi sono occupato dell’Ospedale da campo degli alpini, in quel periodo ho conosciuto due ragazzi che hanno creato una vertical farm che oggi abbiamo ricreato nel nostro mondo, e così riusciamo a produrre insalate e verdure, risparmiando il 94% del terreno, sfruttando la luce”. Guzman, dal canto suo, nei prossimi mesi porterà la cucina del Boragò a Madrid, esportando “la primavera cilena nell’autunno spagnolo”. Ma il giovane chef sottolinea anche un altro punto “ Nel futuro dovremo affrontare due problemi: la carenza d’acqua e la crescita della popolazione. Per noi non sarà possibile continuare col modello di importare ed esportare cibo, dobbiamo cambiare, trovare un nuovo modello e sfruttare la tecnologia. Va fatta ricerca su come cucinare ad esempio le alghe, e usare nuovi ingredienti”. Una sfida che coinvolgerà tutti.
“Serve più consapevolezza di come cambia il mondo e delle risorse che abbiamo – è la riflessione finale di Molinari – Ci sono dei beni sostenibili più apprezzati dal mercato, questa è una piccola perla di saggezza da poter sfruttare, dovremo scendere in campo usando la creatività. E chi consuma, quindi tutti noi, con i suoi comportamenti, può aiutare il mondo”.