In questi giorni tanto colmi di ansie, ci si interroga anche sulla Shoah e sulla sua memoria: “Nel giro di pochi anni la Shoah sarà trattata in un rigo nei libri di storia, poi non ci sarà più neanche quello”, ha detto Liliana Segre. Ma perché un percorso memoriale divenuto, almeno in Europa, fondante della nostra percezione del mondo e del passato, dovrebbe svanire?
Certo, c’è la prospettiva della scomparsa, per motivi di età, dei sopravvissuti, che si sentono sempre più soli. E poi c’è al governo, arrivato al potere con il voto di una larga fetta di italiani, un partito erede del fascismo e della Repubblica di Salò. Un partito che mantiene richiami e simboli di quell’esperienza, nonostante poco convinti e poco convincenti tentativi di distaccarsene. È di pochissimi giorni fa la dichiarazione del Presidente del Senato La Russa, seconda carica dello Stato, che non parteciperà alle celebrazioni del 25 aprile, la festa della Liberazione, dove a suo avviso “non si celebra una festa della libertà e della democrazia ma qualcosa di completamente diverso, appannaggio di una certa sinistra”.
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C’è la celebrazione, invece, della Marcia su Roma, a Roma e a Predappio da parte delle fasce più estreme di questa destra, senza interventi di polizia contro quello che nel nostro ordinamento è e resta un reato, l’apologia di fascismo. E intanto si afferma sempre più, già iniziata da almeno due decenni ma ora consolidata, una rivalutazione del ventennio di cui si cancellano violenze squadristiche, perdita della democrazia, confino, leggi speciali, e di cui ci si limita a deprecare le leggi razziste e l’entrata in guerra a fianco di Hitler. In fondo, se l’Italia di Mussolini non avesse adottato l’antisemitismo di Stato e fosse rimasta neutrale, come la Spagna di Franco, il fascismo si sarebbe forse protratto nel dopoguerra e apparirebbe oggi come un’esperienza tutto sommato positiva.Ma come si lega tutto questo all’accorata previsione di Liliana Segre sulla scomparsa della memoria della Shoah, dal momento che non sembra plausibile né un ritorno alla dittatura fascista né una ripresa dell’antisemitismo di Stato?
In realtà quello che è a rischio, per quanto riguarda la Shoah, è questa sua memoria. Quello che è possibile non è una sua reiterazione, almeno in questo nostro contesto, e nemmeno la sua negazione, come auspicano da sempre i negazionisti, bensì la perdita di senso e di valore della sua memoria.
Perché la memoria della Shoah non è stata solo la ricostruzione della distruzione degli ebrei d’Europa, dei lager, delle camere a gas. E nemmeno solo il tentativo di restituire nome e vita ai sommersi, ricordandone le storie. Tutto questo è stato fondamentale. Ma c’è stato di più: una grossa parte dell’Europa, almeno quella che ha dato vita all’Unione Europea, ha individuato nella Shoah una rottura ineliminabile della sua continuità storica, e l’ha assunta come monito contro il razzismo, l’antisemitismo, la soppressione delle democrazie. La giornata della Memoria è l’unica ricorrenza civile ad essere stata adottata da tutti i paesi dell’Ue, sia pur con modalità e date diverse. Non è un caso, né un fatto marginale, ma un richiamo preciso a che fenomeni come la Shoah non debbano più ripetersi, contro nessuno e non soltanto contro gli ebrei. Un impegno a far sì che non succeda mai più. Sappiamo purtroppo, a partire per l’Europa da Srebrenica, che è stato solo un monito.
Ma questo vuol però dire che la memoria della Shoah, costruendosi a fatica nei decenni, a partire da quel dopoguerra in cui ancora non si distingueva dagli orrori della guerra, ha assunto un valore universale deciso. Tanto universale da aver fatto perfino in qualche momento temere al mondo ebraico di essere espropriato della sua storia, ma che ha reso la memoria della Shoah essenziale per tutti indistintamente gli esseri umani.
Il mondo in cui viviamo oggi, con i sovranismi, il razzismo, e soprattutto la terribile guerra di aggressione della Russia all’Ucraina, è un contesto che non può che favorire la scomparsa di questo importante valore della memoria della Shoah. Non improbabili leggi contro la memoria, non le menzogne negazioniste, ma lo svuotamento del suo significato di monito universale, la sua riduzione a un evento tragico ma lontano, e tale per di più da riguardare solo gli ebrei, da mettere in gioco solo l’antisemitismo ma non ogni razzismo. Se ne vedono i prodromi e sarebbe un altro modo, forse il più carico di conseguenze, di assassinare la memoria.
È qui che la sinistra dovrebbe intervenire facendo sua questa battaglia, certo non l’unica né forse la più importante, ma comunque significativa e vitale. Perché riallacciarsi ai valori su cui si è costruita la memoria dell’evento più estremo del secolo scorso, la Shoah, vuol dire implicitamente respingere l’immagine del mondo che ci viene oggi, in troppa parte d’Europa, proposta da queste destre. Quella tanto ben sintetizzata nel motto “Dio, patria e famiglia”.
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