Bassolino: “Progressisti tornate a parlare al Sud”

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Antonio Bassolino, tra i precursori e i volti simbolo del primo Pd, sindaco di Napoli e governatore della Campania tra il ’93 e il 2010, ministro del Lavoro con D’Alema: oggi lei non è più un tesserato dei democratici. Ma non è mai stato fuori da quella metà campo. Come fa a rialzarsi, la sinistra italiana? “Partiamo dal presupposto che è l’insieme del centrosinistra ad aver perso, di brutto. Perché, pur diviso come il centrodestra su varie questioni, è rimasto politicamente ed elettoralmente diviso. Altro che “risultato non soddisfacente”. Ed è un grave errore pensare che si possa subito voltare pagina. Ora invece bisogna con sollecitudine recuperare due funzioni: riflettere e agire. Ragionare su quanto è accaduto, e sul perché”.

E per farlo non basta il miglior congresso del Pd. “No, intanto perché la questione non riguarda solo il Pd. E poi perché bisogna riconnettersi con la propria gente. Se manca questo elemento, accade quello che vediamo adesso, anche in Parlamento”.

Cosa vede dopo la disfatta del 25 settembre?“L’immagine del disagio e della divisione. Tutto il centrosinistra appare sospeso, dopo cinquanta giorni”.

È come se restasse “l’imbalsamazione”, di cui ha scritto Francesco Piccolo, esaminando la patina che grava su questo ceto dirigente? “La botta è stata pesante. Perché il risultato è enorme dal lato della destra, ed è stato trainato in modo determinante da Meloni e Fratelli d’Italia, che dal 4 per cento diventa la prima forza e continua a crescere. E noi, lì, cosa facciamo?”.

Alcuni hanno votato La Russa al Senato. Gli altri: un po’ pugili suonati? “Diciamolo in maniera diversa: imballati. Ho letto: faremo “opposizione intransigente”. Sarebbe meglio: intelligente, nell’interesse del Paese. Anche perché se poi intransigente non è, hai un altro boomerang”.

E quindi, cosa fare concretamente? “Un passo indietro: premetto, senza nessuna nostalgia. In passato ragionare sul voto, soprattutto quando si perdeva, era un classico delle culture politiche, in primo luogo a sinistra. Ti costringeva a tornare ai cittadini, a riparlare col tuo mondo. Ero giovane segretario regionale del Pci, trentenne: nel ’77 avemmo una sconfitta al voto amministrativo, a Castellammare di Stabia. Non so più io per quanti giorni discutemmo: in direzione nazionale, in comitato centrale, in tutti i comitati federali d’Italia, sezioni di fabbrica, di territorio, Unione donne, federazione giovanile, Arci, tutto il mondo nostro. E scrissi 18 cartelle per Rinascita“. 

Era un altro pianeta. E lei ha detto: “senza nostalgia”. (Ride) “Sì, e noi esageravamo. In quel caso ci furono ragioni locali e nazionali: un “campanello d’allarme”, come titolarono a Rinascita. Ma fermarsi ad analizzare diventa una irrinunciabile riflessione sulla società, non uno schema di cifre. Dietro le percentuali, ci sono fatti umani, società e mondo del lavoro che cambiano, sensibilità giovanili, nuovi bisogni, quello che succede nel Paese reale”.

Siamo al punto: lo scollamento. “Che è rivelato da un altro comportamento del Paese: dilaga l’astensionismo. Chi deve impegnarsi su questa emergenza, se non la sinistra? C’è stata un’affluenza al 64 per cento: è il dato più basso nella storia repubblicana”.

Con record napoletano, quasi dieci punti in meno.“Quello del ‘non voto’ è il primo partito italiano. Lì dentro ci sono i tantissimi ‘senza casa’ della sinistra: disaffezionati, lasciati soli. E il giorno dopo, tutti ci mettono una bella pietra sopra. Ma se non ci impegniamo noi a spostare forze dal grande mare dell’astensione, chi deve farlo? Invece: era clamoroso vedere, in campagna elettorale, che nel centrosinistra così diviso ognuno provasse a togliere voti all’altro. Dovevano invece fare la gara più nobile: ogni leader convincere quanti più delusi”. 

La sinistra ha abdicato ai diritti sociali, perché proiettata solo su quelli civili? “Già abbiamo tante fratture, non mi dividerei tra sostenitori di diritti sociali e diritti civili. L’accento deve stare sui primi, altrimenti cosa è la sinistra? Ma il progresso avviene quando si fanno passi avanti in tutti e due i campi. Mentre ci sono diverse parti del Paese in cui la sofferenza del mondo del lavoro è andata tutta a destra”.

E il Sud è stato crocevia di queste mancanze? “Un altro tema serissimo. Che non è solo questione meridionale, ma doveva diventare bandiera di una lotta contro i divari, in tutta l’Italia”.

Che invece rischia di essere spaccata dall’Autonomia differenziata.“Sì. Se si va avanti per la strada che la Lega sembra voler imboccare senza se e senza ma, l’Autonomia diventa un problema molto serio. Per il Paese, innanzitutto. E per la sinistra. Perché il Pd e le altre forze progressiste hanno prospettive di andare avanti e di crescere solo se tornano a fare la propria parte nel Mezzogiorno, però in una salda proiezione nazionale ed europea. E questo tocca a chi vive il territorio, ma soprattutto alla visione strategica dei leader”.

Il dibattito sulle nostre pagine

Sono intervenuti: Michele Serra, Francesco Piccolo, Stefano Massini, Massimo Recalcati, Chiara Saraceno, Emanuele Trevi (intervistato da Raffaella De Santis), Isaia Sales, Luciano Violante, Chiara Valerio, Gianni Riotta, Nichi Vendola, Luigi Manconi, Dario Olivero, Giacomo Papi, Daniela Hamaui, Michela Marzano, Linda Laura Sabbadini, François Hollande (intervistato da Anais Ginori), Carlo Galli, Emanuele Felice (intervistato da Eugenio Occorsio), Natalia Aspesi, Javier Cercas (intervistato da Alessandro Oppes), Roberto Esposito, Gianni Cuperlo, Bruno Simili (intervistato da Eleonora Capelli), Giorgio Tonini, Franco Lorenzoni, Pietro Ichino, Paolo Di Paolo, Serenella Iovino, Giovanni Cominelli, Luigi Zanda, Michele Salvati, Giuseppe Laterza, Enrico Letta, Stefano Boeri, Anna Foa

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