La sinistra deve farsi portatrice di speranza

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La sconfitta del Pd il 25 settembre ha aperto un dibattito sulle cause del fallimento e sul futuro del partito. Tale dibattito deve tenere conto della situazione in cui versa nel suo complesso, in Europa, la sinistra riformista, la cui storia è scandita da un’alternanza di fasi di forte avanzamento e di regressione. È iniziata negli anni Trenta, quando ha affrontato fascismo e nazismo e la sfida dei partiti stalinisti. Poi negli anni Sessanta ha subito le critiche della sinistra estrema. Nei due decenni successivi è stata destabilizzata dal neoliberalismo di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Ogni volta ha reagito. Dopo il 1945 ha accettato l’economia di mercato, proponendosi di regolamentarla, ha contribuito a consolidare lo stato sociale e si è rivolta alle classi medie. Più di vent’anni dopo ha incorporato i valori libertari e il femminismo. Negli anni Novanta, con la “terza via” di Tony Blair, si è sforzata di concedere maggiore flessibilità all’economia pur senza sacrificare le politiche sociali.

La globalizzazione, la metamorfosi del capitalismo, l’approfondirsi delle diseguaglianze, l’inflazione, il riscaldamento globale, i flussi migratori, la guerra in Ucraina, la diffidenza verso la politica, l’ascesa di populismi d’ogni genere e la polarizzazione politica esacerbata dalle reti sociali caratterizzano la congiuntura attuale. Tutto ciò colpisce in pieno i partiti riformisti di sinistra, che registrano un calo di organico, l’indebolimento delle loro organizzazioni collaterali, la perdita di sostegno delle categorie popolari, la disgregazione delle culture politiche e la riduzione della propria influenza intellettuale.

La sinistra attira soprattutto le classi medio-alte dei grandi centri urbani, che hanno un livello di istruzione alto, e fatica a risolvere il suo dilemma strategico: se si allea con formazioni centriste lascia uno spazio a sinistra che altri partiti si affrettano a occupare, se stringe accordi a sinistra mette in fuga gli elettori moderati. I partiti sono diventati delle macchine, inserite nelle istituzioni pubbliche, dipendenti dalle loro risorse e poco presenti fra la gente. Le nostre società sempre più frammentate e diversificate, all’interno delle quali si inaspriscono gli antagonismi politici, sollevano questioni essenziali e vitali per la sinistra.

Per esempio: come conciliare l’indispensabile apertura verso l’Europa e il mondo con il mantenimento dei particolarismi nazionali? Come contrastare il riscaldamento globale preservando le tutele sociali? Come assicurare una crescita economica sostenibile e allo stesso tempo creare posti di lavoro, ridurre le diseguaglianze e investire nell’educazione, nella sanità e nelle politiche abitative? Come favorire lo sviluppo di aziende dinamiche e attente al futuro del pianeta applicando al contempo un prelievo fiscale più equo? Come accogliere e integrare l’immigrazione pur sostenendo un patrimonio culturale che non si ripieghi su se stesso? Come accrescere le libertà individuali e allo stesso tempo contenere le epidemie e combattere il terrorismo islamico? Come difendere i diritti di minoranze che si esprimono a gran voce senza trascurare la sofferenza delle categorie sociali lasciate indietro dalla globalizzazione che, avendo una scarsa scolarizzazione, hanno meno capacità di farsi sentire e finiscono per rifugiarsi nell’astensione o per votare i populisti di destra?

Questi ultimi oggigiorno fanno progressi. Non si limitano più a protestare: vogliono dimostrare, come sta facendo Giorgia Meloni, di essere adatti a governare. Lei stessa associa uno stile populista a un posizionamento conservatore, per sradicare ciò che resta della cultura di sinistra facendo leva su quello che i politologi americani chiamano “backlask”, ovvero la reazione avversa di una parte delle classi popolari al progressismo e il desiderio di un ritorno quasi nostalgico alla tradizione. La sinistra deve raccogliere questa sfida culturale, rivolgendosi prima di tutto alle popolazioni meno istruite. Senza cedere alla visione apocalittica del futuro di alcuni suoi membri, che prevedono la catastrofe planetaria, l’instaurazione di regimi autoritari, il fiorire dei nazionalismi e la proliferazione delle guerre, la sinistra, oltre a trovare soluzioni per prevenire questi rischi più che reali, deve rispondere al “grido di dolore” dei più svantaggiati. Ma deve anche farsi portatrice di speranza in un mondo migliore.Traduzione di Alessandra Neve

Il dibattito su RepubblicaSono intervenuti: Michele Serra, Francesco Piccolo, Stefano Massini, Massimo Recalcati, Chiara Saraceno, Emanuele Trevi (intervistato da Raffaella De Santis), Isaia Sales, Luciano Violante, Chiara Valerio, Gianni Riotta, Nichi Vendola, Luigi Manconi, Dario Olivero, Giacomo Papi, Daniela Hamaui, Michela Marzano, Linda Laura Sabbadini, François Hollande (intervistato da Anais Ginori), Carlo Galli, Emanuele Felice (intervistato da Eugenio Occorsio), Natalia Aspesi, Javier Cercas (intervistato da Alessandro Oppes), Roberto Esposito, Gianni Cuperlo, Bruno Simili (intervistato da Eleonora Capelli), Giorgio Tonini, Franco Lorenzoni, Pietro Ichino, Paolo Di Paolo, Serenella Iovino, Giovanni Cominelli, Luigi Zanda, Michele Salvati, Giuseppe Laterza, Enrico Letta, Stefano Boeri, Anna Foa, Antonio Bassolino (intervistato da Conchita Sannino), Simona Colarizi, Giancarlo Bosetti, Nicola Zingaretti, Andrea Romano

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