Nel partito dei fedelissimi la politica vera muore

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La crisi della democrazia è in primo luogo una crisi di partecipazione. Si fa sempre più fatica a coinvolgere e ad unire le persone in modo consapevole e strutturato. In Italia, invece, questa ritirata è da molti considerata un’opportunità. I processi partecipativi non funzionano e invece di riattivarli su basi nuove, si rende strutturale e generale il ricorso sistematico alla cooptazione. Il ricorso all’integrazione degli organismi di rappresentanza di nuovi componenti, designati da quelli già in carica. È una relazione di scambio, di conservazione che mortifica la vitalità democratica.

Sindacalista e politico, è co-fondatore di Base Italia  

Le persone non si fidano, non si appassionano e invece di interrogarsi sulle loro ragioni, lo si considera un poderoso lasciapassare ad auto-conservarsi. Anche perché funziona. Scarsa partecipazione e pratica della cooptazione sono i migliori alleati per l’autoriproduzione di ceto. Certo, in alcuni incarichi, la nomina (in luogo dell’elezione) ha un senso. Ma i gruppi dirigenti non diventano tali come risultato di continue designazioni. Spero non servano altre evidenze per le degenerazioni riconducibili a queste pratiche: generalmente il cooptato si consolida cooptando altri. Sarà rara la consapevolezza della propria funzione e invece pesantissimo il livello di condizionamento per saldare il conto col proprio cooptatore. I meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti sono tutti segnati da questo ripiego.

La stessa attuale legge elettorale, avversata formalmente da tutti, è in realtà un rifugio sicuro. Scorrete in ogni partito il numero di parlamentari eletti nei collegi uninominali. Nel centro sinistra pochissimi. Gli altri, tra il 95 e il 100% sono quelli nominati nei “plurinominali” (proporzionali) e sono stati designati il 22 agosto alle ore 12 dalle loro segreterie nazionali, appunto, al momento del deposito delle liste. Cosa può emergere da partiti guidati da dirigenti cooptati, con quasi inesistente legittimazione popolare? Certo, la partecipazione è più impegnativa: aprire il canale dell’ascolto e far sì che diventi rappresentanza è faticoso ma necessario. L’alternativa fa “sparire” la base. Perché i dirigenti sono legittimati solo dall’alto e il poco di base che ancora ci crede viene convocata a “confermare”.

È questa “la questione morale” contemporanea più importante perché ha reso i partiti affetti da una malattia autoimmune generata da mediocrazia e pratica della cooptazione. Mediocrazia perché la postura dei dirigenti è costruita sulle “fedeltà”, terreno su cui i mediocri sono più competitivi e quelli che devono essere i luoghi della sfida e della libertà si trasformano negli ambiti del nuovo “posto fisso”. Per coloro che non hanno mai avuto un lavoro e che non ne troverebbero mai uno o non tornerebbero mai al lavoro precedente, restare a bordo del ceto è un fatto di sopravvivenza. Oggi, chi ha sempre fatto “politica” non è in grado neanche di fare “politica”. 

Cooptazione e mediocrazia hanno forgiato “dirigenti” timorosi, sempre fedeli all’ultimo capo (in vista del prossimo), incapaci di fare qualsiasi battaglia in cui sacrificare qualcosa, anche piccola. Nel loro ufficio non mancano mai le foto di Falcone e Borsellino ma non metterebbero a rischio un minuto dei tempi di progressione della loro carriera o la sicurezza del posto, altro che la vita. 

La naturale conseguenza è che i partiti (e non solo) di oggi siano soprattutto macchine di potere con scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile zero. L’ultima arma della cooptazione è il ricorso alla cultura del “dirittismo”. Cioè quanto di più distante dalla costruzione di una nuova rappresentanza e quanto di più innocuo per il nostro modello di sviluppo. Le identità secondo questa ideologia sono strumentali, sono dei “segnaposto”. Un’ottima “copertura” a vecchie idee e gruppi dirigenti, la fortuna per i leaderini e identitari ma l’oblio per chi dovrebbero rappresentare. Meno efficaci della selezione di Noè per la composizione dell’Arca. Per questo parlano di “inclusione”, ma, al di là del lessico, si propongono di portare dentro (“includere”) senza ridiscutere gerarchie e ruoli. Dicono di “andare nelle periferie”, non comprendendo che servono dirigenti anche al di fuori delle mura aureliane (neanche il Raccordo anulare). Per questo oggi più che mai serve un’applicazione rigorosa ed efficace degli art. 39 e 49 della Costituzione. L’autonomia politica e sociale spesso si è allontanata dall’osservanza del “metodo democratico”. Non sono “interna corporis”. Congressi e organismi senza obbligo di quorum dei propri iscritti, senza organismi “terzi” dai contendenti che vigilino il corretto svolgimento. Senza punti fermi di inderogabilità degli Statuti. Sulla gestione delle risorse e sul tesseramento. 

Ma non è un problema solo di regole, per liberarci dei cooptati bisogna dare vita ad uno scontro aperto sulla visione del mondo. I partiti servono (e si rigenerano) se riescono a promuovere la battaglia delle idee. Anche a costo di risultare impopolari, di correre dei rischi. Non si può fare finta di essere d’accordo. Perché se esistono delle differenze sostanziali, queste vanno esplicitate. E poi imparare a convivere difendendo tutti la posizione maggioritaria. Da queste battaglie si costruiscono i gruppi dirigenti in grado di interpretare e incarnare le idee. Con rispetto, ma anche con fermezza. 

Il dibattito sulle nostre pagine

Sono intervenuti: Michele Serra, Francesco Piccolo, Stefano Massini, Massimo Recalcati, Chiara Saraceno, Emanuele Trevi (intervistato da Raffaella De Santis), Isaia Sales, Luciano Violante, Chiara Valerio, Gianni Riotta, Nichi Vendola, Luigi Manconi, Dario Olivero, Giacomo Papi, Daniela Hamaui, Michela Marzano, Linda Laura Sabbadini, François Hollande (intervistato da Anais Ginori), Carlo Galli, Emanuele Felice (intervistato da Eugenio Occorsio), Natalia Aspesi, Javier Cercas (intervistato da Alessandro Oppes), Roberto Esposito, Gianni Cuperlo, Bruno Simili (intervistato da Eleonora Capelli), Giorgio Tonini, Franco Lorenzoni, Pietro Ichino, Paolo Di Paolo, Serenella Iovino, Giovanni Cominelli, Luigi Zanda, Michele Salvati, Giuseppe Laterza, Enrico Letta, Stefano Boeri, Anna Foa, Antonio Bassolino (intervistato da Conchita Sannino), Simona Colarizi, Giancarlo Bosetti, Nicola Zingaretti, Andrea Romano, Marc Lazar, Pina Picierno, Andrea Graziosi, Graziano Delrio, Daniele Vicari. 

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