La lezione di Calvino e il valore della coerenza

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La sesta lezione americana che Italo Calvino non ha fatto in tempo a scrivere si sarebbe dovuta intitolare Consistency, parola inglese che si può tradurre con vari termini, tra cui “consistenza” e “coerenza”, entrambi consoni a quelle che erano le intenzioni dello scrittore ligure. I due termini non sono molto frequenti nel vocabolario contemporaneo, e quasi mai si sentono in bocca ai politici. Eppure sono due parole importanti se Calvino s’era spinto a concludere con questo termine le sue conferenze sulle Sei proposte per il prossimo millennio ad Harvard che iniziano con la lezione sulla leggerezza, il valore più frainteso e mal compreso della sua opera.

“Coerenza” è l’antitesi della “Leggerezza”? Probabilmente sì. La leggerezza ha bisogno della coerenza/consistenza. In un mondo diventato immateriale come il nostro il bene dell’informazione, costituito da bits, è la cosa che più si scambia e acquista sul mercato mondiale, e forse proprio per questo c’è bisogno del suo contrario: la consistenza. La parola “coerenza” viene dal latino e significa in origine “essere unito, aver connessione”, un valore quanto mai prezioso oggi: essere uniti in un paese così diviso come il nostro è una cosa importante; ma anche avere connessione non è da meno, dal momento che chi non si connette al web oggi resta tagliato fuori dai principali flussi di informazione che ci attraversano.

Anche il termine “consistenza” ha un suo valore impagabile nel significato che gli assegnava uno dei maggiori prosatori della nostra lingua, Galileo Galilei: “tenacemente unito nelle sue parti, solido, compatto”. Cosa c’entrano queste etimologie con il momento in cui noi viviamo e in particolare con la sonora sconfitta subita dalla sinistra italiana nelle ultime elezioni? Mi propongo qui di fare le lodi della coerenza/consistenza sulla falsariga di uno scrittore così multiforme e anche capace di modificarsi come Calvino, rimasto comunque sempre coerente con sé stesso. Che la coerenza non sia più una virtù è un dato assodato, dal momento che quello a cui abbiamo assistito negli ultimi due decenni è una continua trasformazione degli attori politici presenti nella competizione elettorale, un cambiamento e un mutamento del costume tradizionale della politica in versioni sempre sorprendenti e inattese.

Nessuno è rimasto identico a sé stesso, coerente con il proprio passato, salvo forse il partito della nuova Presidente del Consiglio, che, per quanto nato da poco, conserva un legame con il suo passato neofascista post-Salò. Perché mai si dovrebbe essere coerenti, e poi a cosa? La risposta è a un tempo semplice e complessa. Coerenti significa non rinunciare ai propri valori e alle proprie idee, un bene immateriale che oggi si è fatto molto raro, sia perché di idee in circolazione ce ne sono poche, sia perché la coerenza ai valori in un mondo postmoderno abitato dal demone del relativismo sembra una ingenuità, se non proprio una sciocchezza. La politica è un’arte della mediazione e del compromesso per questo la coerenza può apparire qualcosa che ne ostacola la realizzazione, e i coerenti appaiono per lo più testardi e cocciuti, come quel personaggio di Melville, Bartleby lo scrivano, uno dei personaggi che sarebbero entrati nella lezione di Calvino sulla Consistency. Bartleby risponde alle richieste dell’avvocato di Wall Street presso cui lavora con una sola frase: “Preferirei di no“. Dire di no non è un valore? Possibile, eppure mi sembra anche una delle questioni fondamentali della nostra vita di singoli, oltre che di quella di popoli che sono esistiti sin qui sulla faccia del Pianeta.

Dire di no è un’arte che pochi riescono a coniugare con l’arte della politica quale mediazione e arte del possibile. Se non si è coerenti e consistenti si finisce infatti per dire di sì. Certo non ci sono regole generali o assolute per disciplinare questa materia, soluzioni uniche o facili. Per un caso fortuito, sono capitato su una frase di Aldo Moro pronunciata nel suo ultimo discorso. L’ha trovata una delle mie figlie cercando una espressione d’un politico attuale che fosse convincente. Suona così: “Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà… Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi”. Il contesto è quello della perorazione del voto dei parlamentari democristiani al governo che avrebbe dovuto avere il sostegno del voto dei comunisti italiani, l’alleanza battezzata “compromesso storico”.

Un capolavoro di retorica nel senso alto della parola, e un esempio eccellente di Consistency nel doppio senso di coerenza e consistenza, una doppia dote che Moro ha poi pagato con la morte. Ora per quanto l’esempio possa ricordare tempi non lieti e positivi, può essere anche un buon esempio dei valori a cui servirebbe ispirarsi ora: coerenza con sé stessi e flessibilità. Forse non è un caso che Calvino, partigiano comunista, iscritto al partito fino ai fatti di Ungheria nel 1956-57, abbia scritto un articolo proprio iniziando la sua collaborazione a questo giornale rispondendo a una domanda: Sono stato stalinista anch’io? Apparso l’anno seguente l’uccisione del leader democristiano sarebbe da rileggere oggi. La risposta fu: “se sono stato (pur a mio modo) stalinista non è stato un caso. Ci sono componenti caratteriali proprie di quell’epoca che fanno parte di me stesso: non credo a niente che sia facile, rapido, spontaneo, improvvisato, approssimativo. Credo nella forza di ciò che è lento, calmo, ostinato, senza fanatismi né entusiasmi. Non credo a nessuna liberazione né individuale né collettiva che si ottenga senza il costo d’un’autodisciplina, di un’autocostruzione, d’uno sforzo. Se a qualcuno questo mio modo di pensare potrà sembrare stalinista, ebbene allora non avrò difficoltà ad ammettere che in questo senso un po’ stalinista lo sono ancora”. Parole secche, non lontane da quelle pronunciate da Bartleby: “Preferirei di no”. La coerenza ha un suo costo, ma anche un suo peso. 

Il dibattito sulle nostre pagine

Sono intervenuti: Michele Serra, Francesco Piccolo, Stefano Massini, Massimo Recalcati, Chiara Saraceno, Emanuele Trevi (intervistato da Raffaella De Santis), Isaia Sales, Luciano Violante, Chiara Valerio,  Gianni Riotta, Nichi Vendola, Luigi Manconi, Dario Olivero, Giacomo Papi, Daniela Hamaui, Michela Marzano, Linda Laura Sabbadini, François Hollande (intervistato da Anais Ginori), Carlo Galli, Emanuele Felice (intervistato da Eugenio Occorsio), Natalia Aspesi, Javier Cercas (intervistato da Alessandro Oppes), Roberto Esposito, Gianni Cuperlo, Bruno Simili (intervistato da Eleonora Capelli), Giorgio Tonini, Franco Lorenzoni, Pietro Ichino, Paolo  Di Paolo, Serenella Iovino, Giovanni Cominelli, Luigi Zanda, Michele Salvati, Giuseppe Laterza, Enrico Letta, Stefano Boeri, Anna Foa, Antonio Bassolino (intervistato da Conchita Sannino), Simona Colarizi, Giancarlo Bosetti, Nicola Zingaretti, Andrea Romano, Marc Lazar, Pina Picierno, Andrea Graziosi, Graziano Delrio, Daniele Vicari, Marco Bentivogli.

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