La sinistra dei diritti pensi allo ius cibi, un’alimentazione adeguata per tutti

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Mentre stiamo ancora discutendo se sui diritti la sinistra debba avere due gambe — quella civile e quella sociale: entrambe, una sola, nessuna delle due? — non ci rendiamo conto che siamo rimasti fermi. La rapidità con la quale mutano le condizioni e cambiano i bisogni impone visione e azioni concrete. Se vogliamo tenere una direzione, quella del pieno riconoscimento dei diritti della società civile — quindi le due gambe — dobbiamo stare dalla parte dei più deboli, e camminare veloci.

Sorprende allora che in pochi, da sinistra, alzino la voce su una palese e ripetuta violazione di un diritto umano fondamentale. Il diritto ad un’alimentazione adeguata, salutare, compatibile culturalmente: chiamiamolo ius cibi. In un mondo dove contiamo oltre 800 milioni di poveri alimentari, solo nel nostro paese sono quasi 6 milioni, è possibile non vedere questa macroscopica realtà? Disquisiamo sulle differenze semantiche fra sovranismo e sovranità alimentare — un concetto nato a sinistra, oggi adottato dalla destra — senza accorgerci, ad esempio, che la Russia usa il cibo come arma geopolitica. Non solo dall’inizio del conflitto con l’Ucraina.

Gli hunger games, i giochi della fame, sono in atto da tempo: la sicurezza alimentare di milioni di persone — in Africa, Medio Oriente, Asia, ma anche nelle Americhe e in Europa — dipende anche dal grano che si produce in quell’area. Grano significa pane, ma pure lo spettro dell’ulteriore incremento dei prezzi dei cereali e delle speculazioni. In un quadro che vede l’inflazione alimentare a due cifre, le più colpite sono proprio le fasce più deboli della popolazione. Film già visti altrove e in altri tempi, oggi esacerbati da cambiamento climatico, crisi energetica, pandemia.

E la sinistra che dice? Se mangiare (e bere) in modo adeguato e salutare è un diritto riconosciuto nella Dichiarazione Universale dei diritti umani possiamo limitarci a chiedere, come un presidente del Consiglio ai tempi di Expo, che sia inserito nella Costituzione? O gridare che gli alimenti non sono una merce, ma poi non spiegare come fare per riconoscere il cibo quale bene comune e dunque garantirlo in quantità sufficiente a tutti?Se interpretato correttamente, lo stesso concetto di sovranità alimentare — che significa autodeterminazione dei popoli a scegliere cosa produrre e cosa mangiare — potrebbe aiutarci. Se ai paesi, soprattutto a quelli più poveri (in Italia sarebbe anacronistica), venisse riconosciuta effettivamente questa autonomia e si evitasse di calare dall’alto modelli di produzione e consumo alimentare dipendenti dall’estero e basati su grandi produzioni indifferenziate — le cosiddette commodities: grano, mais, soia — l’arma alimentare si spunterebbe e il ricatto della fame sarebbe meno efficace.

Ma anche il lavoro della diplomazia alimentare, perché non possiamo pensare di vivere in un sovranismo autarchico (che in realtà nessuno vuole), il riconoscimento di una cittadinanza alimentare, lo ius cibi appunto, per arrivare a una piena democrazia alimentare ovvero la partecipazione di tutti nella scelta di cosa produrre e mangiare, consapevolmente.

Temi astratti? Disquisizioni accademiche? Non credo. Basta guardare i numeri dell’impatto dell’alimentazione su clima e salute o andare in giro per l’Italia, fra le famiglie che non arrivano a fine mese, nelle mense caritative o negli ospedali per curare le patologie legate al cibo per rendersene conto.Il cammino della sinistra, sulle gambe dei diritti, della giustizia e dell’equità può ripartire (anche) da qui. 

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