Non basta accoglierli, la sinistra riparta dal valore dei migranti

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Parto da lontano. Nel 2016 in Italia eravamo un po’ tutti colpiti dalla vittoria di Sadiq Khan, nuovo sindaco di Londra. Quell’uomo era il figlio di Londra, dove era nato, ma era anche il figlio di due immigrati pakistani. La sua storia è quella di una scalata professionale e politica, in una società che con tutti i suoi difetti, permette anche a chi sta indietro di fare il proprio salto. Oggi arriva Rishi Sunak, il nuovo premier inglese. Genitori indù, immigrati dall’Africa orientale. Altra storia politica rispetto a Khan, cresciuto nel partito laburista, Sunak è il primo ministro eletto in un partito conservatore.

Vale per la Gran Bretagna ma anche per altri paesi europei, dove a destra o a sinistra troviamo persone con background migratorio arrivare in posti apicali di potere. Parto da lontano e dall’alto pensando a loro perché non posso non pensare a noi. All’Italia e alla sua capacità di includere le diversità. Per farlo inizio dal “potere” perché poi la politica, i suoi rappresentanti non sono il riflesso della società che siamo?Purtroppo nella politica del nostro paese siamo riusciti ad accogliere sino ad oggi — nonostante siamo alla terza generazione — più figurine e simboli da noi creati ad uso e consumo che storie vere, storie in cui credere per la loro autenticità — e il caso Soumahoro, declinato a sinistra, ne è l’ultima traccia.

L’abbaglio di una sinistra che continua ad avere fame di simboli, finendo per distruggerli. Forse per mancanza di profondità e accompagnamento, forse per pigrizia, forse perché ancora incapace di guardare negli occhi una delle sue sfide più importanti. Riconoscersi in quell’“altro”, scoprire il senso della sua missione.

Ora, è evidente che in Italia abbiamo un problema. Non siamo ancora in grado di masticare e digerire una realtà concreta e non astratta di persone che ci crescono affianco e che non riusciamo ancora a percepire ed accettare per quello che sono: un capitale umano, capace di arrivare ovunque per potenzialità, e non per generoso riconoscimento di chi ha la sola fortuna di essere italiano per ius sanguinis.

Quasi 5 milioni sono le persone extracomunitarie in Italia. Centinaia di migliaia di naturalizzati con passaporto italiano, quasi 500mila i ragazzi e i bambini nati e cresciuti nel nostro paese. E infine il segmento della fede, con quella islamica che rappresenta secondo alcune stime più di 2,7 milioni di persone.

Questo capitale umano, nel racconto italiano e politico, a parte qualche eccezione, viene inquadrato in un’unica parola “immigrazione”. Su questa parola, sappiamo come la destra della Lega e Fratelli d’Italia abbia costruito in questi anni una sua narrativa e politica rafforzando il più possibile il Noi e il Loro. Prima gli italiani e poi gli immigrati, come se non ci fosse mai spazio per quel salto che ha permesso a Khan e Sunak di arrivare dove sono arrivati, rappresentando in prima persona la comunità che prima li ha accolti e infine trasformati pienamente cittadini.

Una sinistra progressista e riformista, che crede all’inclusione come percorso obbligato per una società plurale da costruire nei valori dell’uguaglianza e la dignità degli individui, dovrebbe partire da qui: come intende costruire quel gradino che ancora manca per far sì che i nostri immigrati possano ambire un giorno a sentirsi pienamente italiani. Perché solo così si può sognare di arrivare in alto, e solo con l’ambizione e in qualsiasi ambito, ciò si traduce in crescita.

Affrontando le criticità: sugli sbarchi non basta solo accogliere. Bisogna costruire politiche che abbiano al centro i paesi africani con cui cooperare in una dinamica di sviluppo da una parte, ma lasciando una porta aperta anche ai viaggi legali che continuano a non essere facili.

Gli irregolari sul territorio spinti nelle stazioni delle grandi città o nelle baraccopoli a cielo aperto dove vivono schiavizzati come braccianti, con il paradosso dei bagni chimici vicino e le associazioni che portano i viveri, hanno bisogno di risposte, e una su tutte è, legalità, che significa il riconoscimento del permesso di soggiorno per chi lavora togliendo finalmente potere alle reti criminali dello sfruttamento.

Bisogna avere la forza e il coraggio di fare una lotta per regolarizzare gli immigrati irregolari nei vari settori lavorativi, decostruendo la narrazione di destra che preferisce mantenerli nel limbo, sventolando lo spauracchio della paura. Alla legalità lavorativa segue l’inclusione, con programmi ben costruiti sul cosa significa vivere in Italia per chi arriva da lontano con usi e costumi diversi che alle volte posso essere anche in conflitto con i valori democratici e laici su cui si fonda la nostra società.

Lingua, diritti, doveri, leggi e cultura. Vivere in Italia, non può essere solo lavorarci, perché l’approccio che si è portato avanti in questi anni, purtroppo, è stato quello opportunistico di breve termine, di interessarsi solo alle braccia e poco all’anima di queste persone. E ancora, il riconoscimento di chi nasce e cresce in Italia, con una legge sulla cittadinanza che debba diventare una priorità, perché i figli degli immigrati sono figli anche nostri, che continuiamo a lasciare indietro.

Infine, l’Islam. Una sinistra progressista e riformista, deve conoscere in profondità le frammentazioni dell’Islam per capire dove posizionarsi con decisione e senza tentennamenti, scegliendo con chi allearsi perché in gioco c’è il futuro di tutti. C’è la costruzione dell’Islam italiano che significa il suo inserimento in una cornice laica, che presuppone il rispetto dei diritti umani, la difesa del principio di uguaglianza delle donne, nei loro diritti e nelle loro scelte di libertà. La storia di Saman Abbas è un monito. Nessun relativismo culturale può essere accettato. Perché la cornice di una sinistra progressista e riformista possa essere la migliore casa nella quale si faccia spazio un Islam finalmente progressista.

L’inclusione dell’“altro”, è e rimane la sfida più ardua e più entusiasmante per chi vuole guidare il progressismo. Siamo all’ultima chiamata.

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