C’è un luogo dove gli investigatori belgi pensano di trovare il vero tesoro della Qatar connection. Non il trolley a mano pieno di banconote da cinquanta e venti euro, per un totale di 650mila, dal padre di Eva Kaili. Non il borsone da mezzo milione a casa di Pier Antonio Panzeri. La vera posta, sostengono, è un’altra: i conti correnti – quello in Belgio certo, ma più ancora all’estero, tra il Qatar e il Marocco – della Ong Fight Impunity, l’organizzazione che Panzeri aveva creato per combattere l’impunità e che invece sembra esserne diventata il manifesto.
La Ong
Fighy Impunity rappresenta la nuova vita di Panzeri. Uscito dal Parlamento nella scorsa legislatura, come spesso accade in questi casi (soprattutto per quei parlamentari che si occupano di diritti umani), il deputato del Partito democratico crea ex novo un’organizzazione non governativa che nasce per “la necessità di promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità”. La fonda nel 2019 e le intenzioni, così come le iniziative, sono assolutamente nobili: attacca violentemente l’Egitto sul caso Regeni. Mette in risalto le violazioni dei diritti civili in Arabia Saudita. Attacca il regime iraniano. Nel frattempo chiede un primo finanziamento al Parlamento europeo da 175mila euro. Gli viene approvato ma poi, non è chiaro per quale motivo, viene in un secondo momento bloccato. In ogni caso Panzeri non se ne fa un gran problema. Ma al contrario continua il suo lavoro. Punta il dito contro tutti i paesi che “comprimono diritti”. Ma nello stesso tempo chiede di riconoscere i grandi passi in avanti che altri paesi avevano fatto. Due su tutti: il Qatar e il Marocco.
“Era presente. Molto presente. All’inizio capivo, ma poi effettivamente mi sono chiesto per quale motivo ci fosse tutto quell’attivismo che era davvero esagerato”, racconta a Repubblica un deputato tedesco del suo stesso gruppo, con il quale Panzeri era arrivato allo scontro. Il caso è recente e riguardava proprio il Qatar. In discussione c’era un la famosa risoluzione contro il paese del Golfo. E, nello specifico, un emendamento che mirava a rafforzare il testo. L’indicazione del gruppo socialista era di votare a favore. “Giorgi che io avevo conosciuto con Panzeri e che lavorava con Cozzolino ci disse che bisognava votare in maniera opposta. Eva Kaili, la sua compagna, fece così. Ma fu l’unica. L’emendamento fu bocciato ma era un errore: in undici chiedemmo subito di cambiare il voto in modo da farlo approvare”. È una procedura prevista. Non era previsto però, nel caso specifico, che questo accadesse.
I bilanci fantasma
Quello del voto può essere stato un incidente. Non lo è, invece, un’altra circostanza. La Ong di Panzeri non riesce a ottenere il finanziamento. Ma, come dimostrano le attività che i suoi collaboratori documentavano puntualmente sul sito Internet e sulle pagine social, ciò nonostante sono moltissime le attività che realizza. Come si finanzia? È la domanda che spesso pongono a Panzeri anche i suoi amici, quelli che da sempre lo hanno frequentato a Bruxelles. “Donazioni private” risponde lui, ammettendo anche di prendere fondi che arrivano da “paesi a rischio”: “Il nostro compito – dice – è quelli di accompagnarli in processi di transizione. Non dobbiamo sbattere le porte ma, al contrario, stare loro vicino”. In molti non avevano però esattamente compreso quanto lui stesse vicino.Anche perché, a parte le sue chiacchiere, i canali di finanziamento della Ong restavano ignoti. Non essendo iscritto nel registro della trasparenza – non obbligatorio ma fortemente consigliato – non aveva alcun obbligo di depositare bilanci. Non era possibile sapere, quindi, chi e per quanto finanziasse Fight Impunity. Né tantomeno perché.
Le intercettazioni
Un aiuto in questo senso gli investigatori le hanno avute dalle intercettazioni telefoniche. Che hanno raccontato di alcuni flussi di denaro di Panzeri. E della capacità che l’uomo aveva di far girare tra i suoi conti correnti personali, in Italia e in Belgio. E quelli della Ong. In una delle conversazioni si parla per esempio dei regali ricevuti dall’ambasciatore marocchino in Polonia, Abderrahim Atmoun. Lo stesso che esibisce le sue fotografie nei corridoi del Parlamento proprio con Panzeri e l’attuale europarlamentare del Pd, Andrea Cozzolino. Travolto dallo scandalo, pur non essendo nemmeno indagato, per via del suo portavoce, l’ex collaboratore di Panzeri: Francesco Giorgi, in carcere con la sua compagna Eva Kaili.
La difesa di Visentini
E d’altronde che tutto giri attorno a Fight Impunity lo racconta Luca Visentini, il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Etuc) e, da qualche settimana, di quello mondiale (Ituc). L’uomo era stato fermato con tutto il gruppo. Ed è stato rilasciato insieme ad un’altra persona dopo gli interrogatori. “Il punto erano proprio le mie collaborazioni con Fight impunity che sono state equivocate” dice a Repubblica. “L’associazione era riconosciuta dal Parlamento europeo, aveva nel board personaggi influentissimi, si occupava di difesa dei diritti umani. A quanto pare, in base alle indagini in corso, sembrerebbe una organizzazione criminale finanziata dal governo del Qatar per corrompere in particolare i membri dell’Europarlamento e per indurli a prendere posizioni più favorevoli nei confronti del governo del Qatar. Ma io nulla potevo sapere. Sono state giornate pesanti e drammatiche. Non posso dire ancora molto, domani (oggi) verrà pubblicato un comunicato da parte della Confederazione Internazionale, in cui si chiarirà che intanto il sindacato non è mai stato coinvolto, a nessun titolo, e che, per quanto riguarda me, non sono state trovate evidenze che io fossi in alcun modo collegato con attività di corruzione. Ho fornito tutte le informazioni necessarie e ho anche chiarito che le mie posizioni nei confronti del Qatar non sono mai state influenzate da nessuno, io mi sono limitato a dire che il Qatar aveva messo in campo alcune riforme, a cominciare dall’abolizione della Kafala, una forma di schiavitù del lavoro, ma che queste riforme andavano implementate, e che non avevano comunque risolto i problemi legati al rispetto dei diritti umani”.
L’inchiesta è appena iniziata.