Cari compagni, è ora di essere più radicali

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L’Italia, dopo questi anni di governo di destra-centro, avrà bisogno più che mai di un grande partito di sinistra riformista e di governo. E questo partito dovrà essere il Pd. Questa sfida, contenuta nel Manifesto del Pd e lanciata al Lingotto nel 2007, è infatti attuale. Allora scegliemmo un partito che declinasse le due grandi tradizioni – socialista e cattolica – all’interno di una forza riformista perno del centrosinistra. Non immaginammo una corsa solitaria, ma una corsa per il governo. Quell’obiettivo non è andato in soffitta. Vorrei che questo congresso servisse anche a ricordarlo a tutti coloro che liquidano quella scommessa in modo troppo sbrigativo, oppure che ritengono il declino di un Pd riformista un destino segnato, per poter dar vita ad un confronto di ricostruzione vera. Quel partito aveva però anche una grande ambizione sociale: sapevamo chi volevamo rappresentare e quale idea di mondo perseguire. È vero, ormai da anni il mondo vive una fase segnata da scetticismo: sfiducia che l’Europa non conosceva da quando, nel secondo dopoguerra, democrazia e capitalismo si saldarono in un patto che portò prosperità per buona parte dei cittadini.

La pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina hanno accelerato uno scenario già in atto. Le transizioni che viviamo, su tutte quelle ecologica e tecnologica, producono politiche pubbliche che, quasi naturalmente, sono rivolte a limitare i rischi piuttosto che ispirare parole rivolte al futuro. Di fronte a questo, ovunque le forze di una sinistra riformista soffrono. Tuttavia è necessario reagire. Ma come? Innanzitutto con un partito del lavoro e dei lavori. La sfida è far avanzare lavoratori della conoscenza e operai, chi ha basso salario anche da autonomo, chi in condizioni dure e pretende sicurezza e chi è costretto al part-time. Avendo un obiettivo: garantire a tutti un lavoro di qualità e un sistema di protezione sociale universale e aggiornato.

Con un partito femminista, in cui la democrazia paritaria diventi pratica politica e programma per semplificare la vita alle donne in carne e ossa, ma anche per offrire uno sguardo diverso sul mondo e sui suoi modelli di sviluppo: la cura di persone e ambiente, ce lo hanno insegnato questi anni, può essere un valore, così come offrire in concreto alle donne la possibilità di sovvertite gli schemi di gioco dati, quasi mai neutri perché a misura di uomini. Ecco perché, per quanto simbolicamente importante, non basta una donna al potere per cambiare le regole. Vanno respinte logiche di cooptazione, sfidati modelli di gestione del potere, ristabiliti criteri per riconoscere autorevolezza e merito. Con un partito ambientalista per il quale, per esempio, inceneritori e rigassificatori siano strumenti da superare verso una transizione ecologica nel quadro della legislazione europea, di zero emissioni di CO2, zero rifiuti e zero consumo di suolo entro il 2050, ma fino a quando necessari non osteggiati e demonizzati con approcci ideologici. Con un partito di diritti e inclusione, che sappia guardare al tema delle disuguaglianze tra Nord-Sud non più come una zavorra di cui farsi carico con maggiore spesa pubblica, ma come un’opportunità da sostenere con risorse e norme adeguate per promuovere e riconoscere capacità e talenti soprattutto di giovani e donne. Un partito, poi, che affronti nel quadro di un’Ue più solidale, il tema dell’immigrazione e dell’integrazione, riconoscendone le potenzialità sul fronte demografico, oltre che su quello della tenuta sociale ed economica.

Un partito, infine, che nello scenario internazionale sappia schierarsi sempre a favore di democrazia, libertà e diritti, quindi contro tutti i regimi. Pronto a non girarsi dall’altra parte di fronte alla negazione dello Stato di diritto, ovunque avvenga. Il cambiamento parta da qui, prima che da nomi e modelli organizzativi. Più nettezza, radicalità e coraggio. E diamoci una regola: basta con la stagione delle scissioni personalistiche. Chi perde resta; l’avversario è fuori, e non merita, oggi meno che mai, regali gratuiti.

Il dibattito su RepubblicaSono intervenuti: Michele Serra, Francesco Piccolo, Stefano Massini, Massimo Recalcati, Chiara Saraceno, Emanuele Trevi (intervistato da Raffaella De Santis), Isaia Sales, Luciano Violante, Chiara Valerio, Gianni Riotta, Nichi Vendola, Luigi Manconi, Dario Olivero, Giacomo Papi, Daniela Hamaui, Michela Marzano, Linda Laura Sabbadini, François Hollande (intervistato da Anais Ginori), Carlo Galli, Emanuele Felice (intervistato da Eugenio Occorsio), Natalia Aspesi, Javier Cercas (intervistato da Alessandro Oppes), Roberto Esposito, Gianni Cuperlo, Bruno Simili (intervistato da Eleonora Capelli), Giorgio Tonini, Franco Lorenzoni, Paolo Di Paolo, Serenella Iovino, Giovanni Cominelli, Luigi Zanda, Michele Salvati, Giuseppe Laterza, Enrico Letta, Stefano Boeri, Anna Foa, Antonio Bassolino (intervistato da Conchita Sannino), Simona Colarizi, Giancarlo Bosetti, Nicola Zingaretti, Andrea Romano, Marc Lazar, Pina Picierno, Andrea Graziosi, Graziano Delrio, Daniele Vicari, Michael Walzer (intervistato da Paolo Mastrolilli), Marco Bentivogli, Marco Belpoliti, Cecilia D’Elia, Andrea Segrè, Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, Luca Ricolfi, Adolfo Battaglia, Achille Occhetto, Laura Pennacchi, Matteo Lepore, Agostino Giovagnoli, Alessandro Genovesi, Diva Ricevuto, Paola De Micheli, Pietro Ichino, Miguel Gotor, Massimo Cacciari (intervistato da Concetto Vecchio), Karima Moual, Giorgio Vittadini, Lorenzo Guerini, Giulio Napolitano, Francesco Marsico, Walter Verini, Gianluca Busilacchi, Antonio Monda

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