Navi da guerra e palazzi: gli sponsor italiani degli affari con il Qatar

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MILANO – La tela qatarina. Tessuta con relazioni e attività ai massimi livelli, con politici come Matteo Renzi e Massimo D’Alema, funzionari come l’ambasciatore Pasquale Salzano, i manager Giuseppe Bono, Franco Carraro, Giuseppe Giordo. Tenuta stretta con investimenti miliardari, diretti o sollecitati, tanto di soldi ce n’è a iosa. Così tanti che, qualche volta, prendono le strade sbagliate, come emerge dalle indagini su Antonio Panzeri e gli altri facilitatori pro-Qatar in Europa.

Ma sarebbe riduttivo e grossolano ridurre l’avanzata del Qatar in Italia a qualche valigia di banconote. Si deve partire da una visione geopolitica, dalla proiezione del piccolo Paese nel mondo, decisa lo scorso decennio e avviata in nazioni strategiche come Francia e Gran Bretagna, poi estesa all’Italia dal 2012 in avanti. Una scelta di Stato, per evitare l’isolamento mentre l’Arabia Saudita e altre nazioni sunnite rompevano le relazioni con il Qatar wahabita, accusato di destabilizzare la regione con il sostegno – politico e finanziario – al radicalismo musulmano e al terrorismo coperto dai nemici che ruotano attorno alla galassia sciita, Iran in testa.

La sterzata di Renzi

La sterzata italiana sul Qatar ha per mentore Matteo Renzi, presidente del consiglio per tre anni dal febbraio 2014. Il leader di Italia Viva (allora nel Pd) fu fautore della nuova amicizia tra i due Paesi, che ha vissuto un magic moment negli anni a cavallo del suo mandato. Riuscendo a soffiare alla Francia, nel giugno 2016, il contratto per costruire da zero la flotta militare del Qatar. Una marina da guerra istantanea, con ordini per circa 6 miliardi di euro (poi altri, per Leonardo) per la vendita di sette unità, una mini-portaerei, quattro fregate portamissili, due pattugliatori, altri due mini-sottomarini per incursioni, più tanta formazione agli ufficiali da parte della Marina militare. Insieme a Renzi aveva gestito direttamente la commessa Giuseppe Bono, patron di Fincantieri da poco scomparso.

I rapporti di D’Alema

Dopo la firma la commessa fu portata avanti da Giuseppe Giordo, dg di Fincantieri che ha poi lasciato il gruppo sei mesi fa per il ruolo avuto nella tentata mediazione in una fornitura di navi alla Colombia. Quell’affare, pasticciato e poi sfumato, aveva coinvolto come consulente anche Massimo D’Alema, ex presidente del consiglio e ministro degli Esteri per il Pd. Fino al 2017, quando fu tra i fondatori di Articolo 1, partito in cui è confluito anche Panzeri. Giorni fa D’Alema è spuntato come consulente del magnate qatarino Ghanim Bin Saad Al Saad, la cui conglomerata è in corsa per rilevare da Lukoil la raffineria Isab di Priolo.

Sugli idrocarburi il Qatar, terzo Paese per riserve di gas e primo esportatore via nave, ha costruito le sue ricchezze. E l’Eni vi ha consolidati rapporti, che nel 2022 l’hanno fatta scegliere come partner al 25% di QatarEnergy nel progetto di 27 anni North Field East, il più grande terminale Gnl al mondo. Accordo trattato direttamente dall’ad dell’Eni, Claudio Descalzi, con i vertici dell’emirato. Nell’Eni si è fatto le ossa Pasquale Salzano, distaccato nel 2011 dalla Farnesina come capo dei rapporti istituzionali internazionali e dell’ufficio della major negli Usa; e che dall’aprile 2017 al dicembre 2019 è stato ambasciatore italiano in Qatar.

Dall’Eni alla diplomazia

La scelta di Salzano fu fortemente voluta da Renzi (anche se il suo amico e collaboratore Marco Carrai avrebbe preferito Salzano a Tel Aviv), che lo caldeggiò a Paolo Gentiloni malgrado ambasciatori più esperti e di pieno rango puntassero al ruolo. Salzano ha cementato così bene l’amicizia tra i due Paesi da far decollare l’interscambio commerciale. Una missione compiuta per lui, passato oggi a presiedere la pubblica Simest.

Quasi in sincrono, tra il 2012 e il 2015 i capitali del Qia, il fondo sovrano locale da 450 miliardi di dollari, planarono sul mercato immobiliare italiano, tra la Sardegna e Milano. Il passaggio di alberghi e terreni della Costa Smeralda avvenne grazie ai contatti tra l’emiro e Tom Barrack, l’americano amico di Trump proprietario del fondo Colony Capital che poco prima gli aveva ceduto anche il Paris Saint Germain. Mentre il trait d’union italiano è stato Franco Carraro, ex ministro, ex sindaco di Roma, già presidente del Coni e della Figc e molto vicino alla Capitalia di Cesare Geronzi, in sella alla Costa Smeralda Holding dal 2006 e anche con la nuova gestione qatarina.

Gli affari a Milano

La bandierina milanese viene invece piantata in due tappe, acquistando per circa 2 miliardi i 25 palazzi del complesso di Porta Nuova che comprende il famoso Bosco Verticale e la torre Unicredit di Pella. L’affare è facilitato dai rapporti già esistenti tra la struttura del Qia e quella del fondo americano Hines, allora gestito in Italia da Manfredi Catella che, in seguito, si avvalse della consulenza del banchiere d’affari Luigi De Vecchi, ora al vertice di Citi.

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