Claudio Petruccioli: “Crescita e identità, così si rilancia il Pd”

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Claudio Petruccioli, ex Pci, già presidente Rai, la convince il dibattito congressuale del Pd?“Ho paura che il progetto del Partito democratico stia per fallire”.

In che senso?“Ha ragione Pierluigi Castagnetti, che viene dalla Dc: l’identità del partito è a rischio. Io, come credo Castagnetti, ho sostenuto il Pd perché doveva essere l’unione di diversi riformismi in passato divisi e in conflitto tra loro. L’obiettivo era creare una forza capace di offrire un’alternativa in una competizione aperta per il governo”.

Invece?“Il sindaco di Bologna Lepore plaude al rientro di Articolo 1, “che in questi anni ha tenuto accesa la fiaccola”. Come se fosse il Pd ad entrare in Articolo uno”.

Però il Pd così com’è non funziona.“Perché non affronta i problemi del Paese, a cominciare da quello della crescita, come ha sottolineato il professor Sergio Fabbrini al Riformista”.

Chi dovrebbe rappresentare?“C’è chi propone di mettere la parola lavoro nel nome. Ma hanno mai studiato a fondo l’evoluzione dei lavori più avanzati? Si sono riuniti per ascoltare i lavoratori delle medie e piccole imprese?”.

Le sembra un dibattito accademico?“Noto che l’idea di lavoro prevalente nel Pd è ossificata”.

Insisto: cosa dovrebbe fare il Pd se non vuole morire?“Esprimere una cultura di governo, che ponga al centro del suo agire la crescita, senza la quale non c’è redistribuzione”.

Non l’ha fatto?“Nelle ultime elezioni il messaggio è stato: dateci un po’ di voti altrimenti la destra cambia la Costituzione. Ma non è una proposta di governo”.

Veramente il Pd è stato al governo per dieci anni.“Non l’ha mai deciso lui. Nel 2011 ci andò per decisione del Quirinale. Nel 2019 su spinta di Renzi”.

Lei un anno fa disse a “Repubblica” che l’asse Draghi-Mattarella era “l’ultimo chiodo fissato in cima a una montagna, se quel chiodo cede precipitiamo”.“Beh, Mattarella c’è ancora. E Draghi ha il suo peso. Lo si è visto nella recente tensione con la Francia”.

E quindi la destra al governo le fa meno paura?“Vedo che Meloni cerca di costruire una destra conservatrice che rimanga agganciata all’Europa, ma non è detto che vi riesca considerati i continui atti di sabotaggio messi in pratica da Salvini”.

Andrà a votare alle primarie?“Al momento no. È il Pd a dovermi dire cosa vuole essere”.

Su Twitter ha proposto Lucia Annunziata come segretario.“Era un gioco. Lei ha scritto un articolo per invitare il Pd a fare il congresso sulla questione morale. In un congresso del genere Lucia avrebbe i numeri per candidarsi”.

Non è d’accordo?“La questione morale è un capitolo, non il fondamento della politica”.

Non trova il Qatargate enorme?“Sì, ma non per questo penso che la questione morale esaurisce la politica”.

I partiti non fanno più argine, ammonisce Rino Formica.“È sempre dipeso dall’etica di ognuno di noi. Quando, nel 1996, divenni presidente della Commissione Trasporti del Senato, mi arrivò in regalo un cellulare Motorola.Andai nello showroom della Tim e chiesi di pagarlo. Insistettero. Tenni il punto. Alla fine lo pagai, con lo sconto riservato ai parlamentari”.

Morale?“Una volta che finisci nelle mani dei lobbisti la tua autonomia è finita”.

Lei era condirettore dell’Unità quando Berlinguer rilasciò la famosa intervista sulla questione morale ad Eugenio Scalfari, il 28 luglio 1981.“Ricordo che nei giorni seguenti feci un viaggio in treno con Ferdinando Di Giulio, il capogruppo del Pci. Ne parlammo appassionatamente. Volevo capire”.

Cosa c’era da capire?“Quale fosse il disegno politico di Berlinguer. E Di Giulio mi disse che non eravamo più una forza di opposizione, visto che eravamo stati in maggioranza e volevamo entrare al governo; d’altra parte nemmeno potevamo più vantarci del legame con Mosca. E quindi serviva un fattore identitario che facesse sentire il Pci diverso dagli altri partiti, e di conseguenza diversi i suoi militanti”.

Cosa ne pensa oggi?“Che, seppur importantissima, la questione morale non può esaurire l’unica identità di un grande partito”.