Il Pd è un partito dall’identità irrisolta. Non tutti i cattolici guardano al centro

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Sotto il cielo del “congresso” del Pd regna una discreta confusione. Anche perché le regole statutarie furono scritte in un’altra era geologica. Un solo esempio: il mito fondativo delle cosiddette (impropriamente) primarie-ballottaggio aperte agli elettori e non solo agli iscritti, con cui si chiude la partita tra i due candidati meglio piazzati nella consultazione tra gli aderenti, si spiega solo con l’altra regola fondativa e cioè che il segretario eletto sarebbe, in automatico, il candidato premier. 

Una regola che aveva senso solo in un sistema politico bipolare orientato al bipartitismo nel quale il Pd fosse il major party di una stabile coalizione di centrosinistra. Scontando tale anacronismo, al punto in cui siamo, si può solo sperare che i due soli candidati plausibili, Bonaccini e Schlein, figure dal profilo assai diverso, confezionino presto due piattaforme politiche chiare, marcando le rispettive differenze, suscettibili di definire l’identità irrisolta del Pd.

LE IDEE

Non ha giovato l’estenuante tempistica. Dopo la sonora sconfitta del 25 settembre, una reazione tempestiva a caldo forse avrebbe potuto provocare uno scatto salutare. L’opposto delle usuali manovre e delle discussioni politiciste che trovano riscontro nel calo nei sondaggi e nello scoramento di elettori e militanti.

Una certa confusione ha investito il pletorico comitato degli 87 cui è stato affidato il compito di emendare/aggiornare la Carta dei valori stilata alla nascita del Pd.Si è aperta subito una discussione circa i limiti del suo mandato nel mettere mano a una Carta fondativa, che dovrebbe essere poi approvata dall’Assemblea a fine mandato. Discussione sul metodo, ipotecata da un omesso chiarimento a monte: si vuole un “congresso” di rinnovamento pur radicale o la costituente di un nuovo Pd? Non è la stessa cosa. È curioso che oggi si eccepisca e ci si divida sul punto dopo avere deliberato all’unanimità regole e procedure. Da opposti fronti interni si è concentrata la disputa intorno alla Carta. A nostro avviso, impropriamente. Quel testo – che risentiva di un tempo decisamente lontano, dominato anche a sinistra da una visione ingenuamente ottimistica della globalizzazione, o acuita nel discorso veltroniano del Lingotto – scontava soprattutto i classici limiti dei documenti politici nei quali, assai più del contenuto, contava l’obiettivo pratico: favorire la convergenza tra partiti diversi al fine di far nascere il Pd. Grazie a compromessi lessicali. Sbaglia oggi chi, isolando questo o quel passo, lo critica o lo sacralizza enfatizzando il sigillo di padri nobili quali Scoppola e Reichlin, quasi fosse condensato lì il loro pensiero. Nel testo, volendo, si trova di tutto in ragione del suo intento concordista.

Inutile accanirsi sulla Carta, presto rimessa nel cassetto. Vanno semmai tematizzate le vere questioni controverse di natura ideologica e politica, sgombrando il campo dagli equivoci. Un esempio? La innaturale convergenza tra chi si intesta la rappresentanza del cattolicesimo democratico (in realtà, più limitatamente, taluni ex del Partito popolare ridestatisi d’improvviso) e i liberal ex Ds. Componenti che, culturalmente, dovrebbero avere visioni diverse su punti cruciali in discussione: la forma partito (leaderista?), il modello istituzionale (presidenzialista?), la disintermediazione, le questioni bioetiche, la sensibilità sociale, il rapporto tra Stato e mercato, un atlantismo temperato ovvero oltranzista, la pace e la guerra.

Ha senso scomodare la Carta dei valori solo se si ha il coraggio di portare in superficie la distinzione tutta politica tra chi vuole un partito moderato di centro e chi un partito di sinistra, liberal-democratico o laburista (non di nome).

Quanto al confronto sui candidati, a differenza di Parisi, registriamo come cosa buona lo spariglio e cioè che ex Popolari siano più per una soluzione movimentista e un posizionamento di sinistra; che altri ex Popolari per un Pd guidato da un pragmatico ex Ds-Pci; che ex Ds stiano un po’ di qua un po’ di là. Un rimescolamento, l’opposto del fantasma della scissione di Livorno che farebbe rivivere il Pci. Tutti devono contrastare “rigurgiti identitari”, compresi coloro che vorrebbero reiterare l’identità concreta del Pd che conosciamo, come se nulla fosse successo, per non cambiare nulla.

Dovremmo avere imparato che un’ispirazione cattolico-democratica e tanto più l’appartenenza cattolica possono condurre a opzioni politiche diverse. Di sicuro, nessun fronte politico può intestarsi il magistero di un Papa comunque difficilmente ascrivibile alle cifre del moderatismo e del liberismo.

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