ROMA – Una cosa è certa: il simbolo che Giorgia Meloni presenterà alle prossime Europee del 2024 conterrà la parola “Conservatori”. Quanto grande, e se mantenendo comunque la dicitura Fratelli d’Italia, sarà deciso nel corso del 2023. La scritta sarà sicuramente più evidente di quella già presente nel logo della tornata per il Parlamento europeo del 2019. Si tratta di un orientamento che assume fin d’ora un peso politico enorme, perché costituisce una sfida neanche troppo velata agli alleati. La promessa di un’occupazione dello spazio politico sulla scia della destra conservatrice e filotrumpiana americana, l’ambizione di un’annessione di fatto dei partner di maggioranza. Un avvertimento, soprattutto, che freni l’eventuale progetto federativo tra Forza Italia e Lega, oppure i probabili flirt centristi tra azzurri e renziani. Una sfida egemonica su un’intera area politica.
L’operazione è complessa. E per certi versi anche controproducente, almeno in questa fase, perché capace di scompaginare equilibri già fragili. Per resistere a Palazzo Chigi c’è bisogno di stabilità, non di minacciare l’esistenza dei compagni di viaggio. Per questo, la fase operativa non partirà subito, ma nella seconda parte del 2023, con l’approssimarsi delle Europee. I prossimi mesi serviranno invece a spingere sull’azione di governo, puntando sulle riforme più che sul fronte doloroso dell’economia. È forse proprio per queste ragioni che ieri due fedelissimi della premier come Giovanni Donzelli e Francesco Lollobrigida hanno frenato (e dunque rassicurato) sulle intenzioni di Meloni. “Alchimie e architetture partitiche – ha detto il primo a Libero – non sono al momento la nostra priorità”. E il secondo: “Il partito conservatore? Esiste da tempo ed è Fratelli d’Italia”.
Eppure, l’operazione è in cantiere. Esistono mondi che ci puntano, in particolare nella destra ultra cattolica. Ruotano attorno a figure come Alfredo Mantovano ed Eugenia Roccella, che hanno ruoli di responsabilità nell’esecutivo. Lambiscono realtà come l’Opus Dei e qualche settore di Comunione e Liberazione (un deputato di FdI, Lorenzo Malagola, viene da CL), personalità vicine alle associazioni pro life e al Family Day di Massimo Gandolfini (Maria Rachele Ruiu era candidata nelle liste di Meloni). Ci credono organizzazioni da sempre non ostili, come Coldiretti, e dirigenti di peso di Confindustria. E poi c’è il rapporto con la destra conservatrice e filotrumpiana di Washington, quella che fino a pochi anni fa ruotava anche attorno all’ideologo Steve Bannon. Pesano anche le relazioni di Mantovano e di altre tre personalità come Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giulio Terzi di Santagata. E contribuisce il dialogo con i think tank conservatori, ad esempio quelli sondati da Adolfo Urso nella sua missione di settembre negli Stati Uniti. Anche da quei mondi è partito un suggerimento mirato a intervenire sul quadro politico italiano, che può tradursi così: serve una destra allineata a quella degli Stati Uniti, capace tra l’altro di emarginare la Lega filorussa di Salvini.
Il progetto conservatore, dunque, sarà scongelato appena necessario. Anche perché i vertici meloniani sono convinti che sarà utile a rilanciare il partito quando interverranno due variabili, considerate quasi scontate. La prima: il fisiologico appannamento nel consenso, quello che potrebbe subentrare dopo il primo anno di governo. La seconda: la minaccia centrista rappresentata dal “corteggiamento” che Matteo Renzi sta portando avanti con Silvio Berlusconi, convinto di poter aprire in questo modo una crepa e favorire la nascita di un altro esecutivo.
Ed è qui, esattamente qui che si inserisce proprio il Cavaliere. Ai ministri e ai sottosegretari che lo rincorrono per gli auguri, l’anziano leader sta confidando perplessità sulla gestione dell’azione di Meloni a Palazzo Chigi. E lamentando uno scarso coinvolgimento: “Non mi chiama, non ascolta i miei consigli, eppure ne avrebbe bisogno”. A tutti, Berlusconi assicura che non scioglierà Forza Italia per consegnare alla premier lo scettro del comando. Non per questo chiude però al progetto ideale di partito unico, perché ne rivendica l’intuizione, “sarebbe la realizzazione di un mio sogno”. Insomma, reclama la paternità dell’idea e subordina l’eventuale via libera al riconoscimento del suo ruolo fondativo, immaginandosi ad esempio Presidente, con Meloni segretaria. “Di certo – ripete a tutti – servirebbe la mia esperienza per guidare questo nuovo soggetto”. Sembra una posizione velleitaria, visti i rapporti di forza tra alleati. Distante dalla realtà, quantomeno quella dei sondaggi. Proprio per questo, annuncia burrasca.