Malgrado la prima sconfitta in campionato il Napoli resta favorito per lo scudetto, ma dovrà (ri)vincerlo e non soltanto amministrare il vantaggio, come si è illuso di fare a San Siro. Spalletti usa il possesso palla come il pifferaio indiano, che con la sua melodia ipnotizza il cobra facendolo ballare al suo ritmo: ma l’Inter ha un’altra energia, soprattutto verticale, e ogni pallone recuperato al palleggio rivale – perimetrale e inoffensivo – diventa uno scatto in avanti, verso i duelli che lo premiano come Dimarco sopra Di Lorenzo o Barella sopra Zielinski. Inzaghi replica così la grande partita di Barcellona, col campo risalito in tre passaggi e Dzeko più di Lukaku a proporsi come terminale, fino al gol risolutivo. Il Napoli cambia chip in ritardo, aggiungendo solo negli ultimi 5′, con i cambi, l’impeto necessario perché la sua bella tecnica diventi pericolosa. La grandezza del suo autunno è ribadita dalla possibilità di apprendere da una brutta serata mantenendo un margine notevole. Ma deve farlo in fretta: ha ceduto tre punti a tutte le rivali. Nel giorno della caduta, nessuno gli ha fatto sconti.
Il Milan è risalito a -5 grazie a una ripartenza che è stata insieme di alta qualità e bassa praticità, ovvero numeri da record sia per palle-gol costruite che sperperate. Complimenti ad Ochoa, autore di una quantità di belle parate per festeggiare il debutto in Italia, ma la discrepanza fra le 7/8 chance pulite e i due soli gol realizzati (e il conseguente finale col fiatone) disegna ciò che manca al Milan per progredire ancora: sintetizziamolo nel “colpo sotto”, la soluzione che ieri non è venuta in mente ad alcuno dei rossoneri arrivati davanti al portiere, regolarmente centrato dalle botte di Leao, Theo e Giroud laddove la giocata d’astuzia avrebbe dilatato a dismisura il punteggio. Gli errori di mira, comunque, hanno stressato senza rovinare una bella esibizione di calcio verticale di Pioli, che ha ritrovato subito la devastante leggerezza di Leao, fonte di palle-gol a ogni ingresso in scena. In più, dentro a un quadro sanitario che presenta ancora nove infortunati, il tecnico ha recuperato l’asse di destra composto da Calabria e Saelemakers, saltati tre mesi fa a Empoli. Pur non essendo campioni come i compagni di sinistra Theo e Leao, i due sono giocatori di eccellente intelligenza tattica, ed è proprio la loro capacità di entrare dentro al campo a muovere le difese avversarie, richiamando uomini dall’altro fronte e liberando di conseguenza la strada alle scorrerie dei terribili “sinistri”.
Alle spalle del Milan, la Juve vince all’ultimo respiro la gara – per lei chiave – di Cremona. Dopo i patimenti dell’autunno, Allegri ha recuperato il sangue freddo del giocatore da casinò, capace di vincere le partite quando il cronometro sembra volare, mentre lui sa aspettare come se viaggiasse al rallentatore. La punizione di Milik, davvero punitiva per la brava Cremonese, è il frutto estremo di una rosa sempre incompleta ma proprio per questo ricchissima: Allegri ha fatto match pari con i giovani più Bremer – fin qui l’acquisto migliore – e aggiungendo stelle ogni dieci minuti si è messo nelle condizioni di pescare il jolly finale.
I risultati di ieri hanno riallineato Roma e Lazio, come l’anno scorso dopo 16 giornate ma con la differenza di cinque punti in più ciascuna. Sono dati positivi che infatti segnano l’inseguimento alla zona Champions, eppure le facce scure non mancano. La Lazio s’è piantata a Lecce dopo un primo tempo in totale serenità, riassunto del momento che ha vissuto prima del Mondiale e continua a vivere oggi: da terza e lanciata che era, si distrae finendo ai margini della lotta. La Roma invece i tre punti li fa, ma con una fatica ben descritta dal salvataggio sulla linea di Abraham; il che non lo solleva dall’infelicità in zona gol – ieri Mourinho l’ha addirittura escluso dalla formazione di partenza – ma ne segnala il desiderio di aiutare la squadra in qualsiasi altro modo. Abraham con quella giocata ha portato a casa due punti, gli stessi tenuti in caldo da Smalling con un paio di salvataggi miracolosi che esaltano il tifoso, salvo poi chiedersi se sia necessario soffrire così anche quando Dybala ti ha portato in dote il rigore decisivo all’alba di gara. Il limite della Roma è sempre l’attacco asfittico: Dybala 5 gol e va bene, ma poi ci sono Abraham 3, Zaniolo ed El Shaarawy 1, Belotti e Shomurodov zero. Fotografia di un reparto in crisi che andrebbe evidentemente “accompagnato” dal resto della squadra: ma siccome a quota 30 ci sei salito con l’eccellente organizzazione difensiva, l’intento di non rischiare è evidente.