Vialli, un campione che ha saputo ispirare gli altri con l’esempio

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Ora che è arrivato il momento di lasciarlo andare, rimandato per cinque anni perché noi — affezionati e anche egoisti — l’abbiamo trattenuto almeno quanto lui ha resistito al male, Gianluca Vialli si stacca dalle sue pene seguendo l’insolita prospettiva di chi, allontanandosi, ingigantisce anziché rimpicciolire. C’è una tristezza fitta come nebbia padana sullo sfondo di questi pensieri: il calcio sa essere un mondo di mostri — aprite un social a caso dopo una partita importante, e scenderete nei suoi abissi — ma è dotato di un sesto senso unico nell’individuare le poche figure realmente meritevoli. Gli antieroi capaci di sopravvivere alla retorica del bomber irresistibile, e a portare al giorno del giudizio la loro umanità più sincera. Luca ha vinto tanto e perso altrettanto, da grande campione qual è stato, ma oggi di lui ricordiamo innanzitutto un abbraccio, il gesto umano per eccellenza. Il dolore che si respira ovunque è un muro alto e possente con la parete liscia, non ci si può in alcun modo aggrappare, né tanto meno arrampicare. Lo si contempla, nella sua maestosità. Nella sua compattezza.

Luca Vialli ha concluso la sua esistenza bellissima con cinque anni di grande sofferenza dei quali, però, non ha sprecato nemmeno un minuto. Non stiamo parlando solo del sostegno a chi affronta la sua stessa malattia — a proposito, oggi lui odierebbe ogni riferimento al “male che non perdona”, pensando al morale di chi lo sta affrontando; e avrebbe ragione perché una percentuale di salvati, sia pure non grande, esiste — ma anche della capacità suprema di un campione: quella di ispirare. Secondo il dizionario ispirare significa infondere nell’animo di chi ti ascolta i pensieri e i sentimenti che ne determinano le successive azioni, e quando abbiamo visto il filmato della sua lettura di un discorso di Roosevelt agli azzurri prima della finale europea è esattamente lì che siamo andati. Vialli ispirò una squadra di ragazzi coraggiosi a oltrepassare il limite che lui aveva varcato in un altro senso, quello del tempo: vivere quei 90 minuti — poi 120 con l’aggiunta dei rigori — come se nulla esistesse prima e dopo, sentendosi appagati dall’aver dato tutto prima che dal risultato. Kipling in purezza, e del resto la concezione anglosassone dello sport gli è sempre stata propria.

Vialli non è nel pullman: il curioso rituale portafortuna degli Azzurri a Euro 2020Vialli e l’abbraccio perfetto con Mancini sul prato di Wembley

Le connessioni sono uno dei temi dominanti la modernità, il bisogno di immanenza che si insinua nelle pieghe di una vita sempre più high-tech. E quale connessione può essere più evidente dell’abbraccio di gioia a Wembley fra Luca Vialli e Roberto Mancini, i dioscuri per eccellenza del nostro racconto calcistico, dopo la finale dell’Europeo 2021 vinta sull’Inghilterra? Quasi trent’anni dopo le lacrime disperate nello stesso stadio, dove la Samp aveva perso dal Barcellona la finale di Champions. Ecco, se l’amicizia è una connessione più forte persino dell’amore, perché meno esposta alle intemperie del quotidiano, l’esempio ricevuto quella sera aumenta ora la commozione e la malinconia, ma nel tempo tornerà a farci sentire meglio. A ispirarci una telefonata in più piuttosto che in meno a un vecchio amico.

Vialli, l’ultima intervista a Cattelan: “Sento di avere sempre meno tempo per essere un buon padre”Vialli e l’irripetibile “banda della Samp”

Se questi anni di cure e di tempo “da non perdere in stronzate” — parole sue, ricche di senso — ci restituiscono l’immagine di un Vialli saggio e serio, è giusto che i più giovani sappiano di come, nei suoi anni da campione, Luca fosse un monumento alla spensieratezza e al divertimento. Condiviso soprattutto con la banda di allegroni della Sampdoria di Mantovani e Boskov, ma che certo non venne meno nelle stagioni da capitano della Juve, che implicava ben altre responsabilità (“vincere altrove è una gioia, in bianconero è un sollievo”: nessuno ha spiegato meglio la differenza). Si rincorrono nella memoria episodi comici e picareschi, politicamente scorretti forse, ma irresistibili, figli di un’epoca in cui il rapporto fra calciatori e giornalisti era molto più semplice di oggi. E i racconti dell’infanzia agiata, dell’educazione attenta, delle corse in vespa sull’argine del Po, di quando Brera lo chiamò Stradivialli, dell’iniziale rinuncia ai club metropolitani perché in Riviera si viveva troppo bene, della favolosa Under 21 di Azeglio Vicini, del gol alla Spagna a Euro 88 con corsa successiva in panchina a dare il cinque a tutti i compagni schierati in fila, dei frammenti di un discorso amoroso con una soubrette, del flop di Italia 90 dopo l’improvvida citazione da John Belushi su quando il gioco si fa duro, del dissidio con Sacchi e del rifiuto di tornare in Nazionale, della Champions alzata con la Juve prima di andare a scoprire la Premier, del suo prezioso lavoro di talent a Sky, “voglio essere il Gary Lineker italiano” e lo fu davvero.

Quando Vialli filmò il ritiro della Juventus prima dei quarti di Coppa Campioni contro il RealVialli, il matrimonio e Lionel Richie

Della notte del suo matrimonio, una sera di fine estate del 2003, col party organizzato nella splendida dimora familiare di Grumello Cremonese. A un certo punto lui e Cathryn invitarono gli ospiti in giardino, anche con toni spicci perché qualcuno s’attardava al banco liquori, e quando furono tutti fuori al chiaro di luna, da un séparé montato fra gli alberi saltò fuori Lionel Richie. Nel tripudio generale attaccò le prime note di All Night Long, e ballammo davvero per tutta la notte, senza sprecare un minuto. Quella musica resterà per sempre nell’aria, a ricordarci una vita piena, forte, bella, gloriosa e festosa. Terribilmente breve.

Vialli, l’abbraccio di Wembley con Mancini è il nucleo della felicità

di Gabriele Romagnoli

06 Gennaio 2023

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