«DA, no…». «Sì, ma…». Così alcuni commentatori russi avevano ipotizzato sarebbe stata la risposta di Vladimir Putin alla proposta di tregua di 30 giorni concordata da Stati Uniti e Ucraina a Gedda. E così è andata. Il presidente russo tiene troppo al dialogo appena instaurato con Donald Trump per buttarlo via, per così dire, con l’acqua sporca. E allora non risponde con un netto rifiuto, ma annega la sua disponibilità a concordare in linea di principio con «l’idea» di un cessate il fuoco — le parole sono importanti tanto quanto i silenzi — ancorandola a una serie di «questioni importanti», «sfumature» le chiama. «L’idea in sé è corretta e noi certamente la sosteniamo. Ma ci sono questioni di cui dobbiamo discutere. Dovremmo parlare con i nostri colleghi e partner americani, magari chiamare il presidente Trump e discuterne insieme». Un modo diplomatico di tirarla per le lunghe, senza respingere, ma senza neppure accettare.
Al «Sì, ma» Putin arriva dopo un giorno e mezzo di silenzi e studiate apparizioni inframmezzate da altrettanto calcolate dichiarazioni dei suoi funzionari. Martedì, quando il segretario di Stato Marc Rubio dice che «la palla è nel campo della Russia», il presidente russo resta in silenzio. E mercoledì, quando la Casa Bianca annuncia che l’inviato speciale Steve Witkoff volerà presto a Mosca, il leader del Cremlino indossa una mimetica per visitare un posto di comando nella regione meridionale di Kursk che si appresta a liberare dalle forze ucraine. «Un segnale di determinazione a completare l’operazione nel prossimo futuro», commenta il portavoce Dmitrij Peskov a chi chiede se l’uniforme militare sia una risposta non verbale alla proposta statunitense.
Putin vestito in mimetica prende tempo sulla tregua. Trump: sanzioni se dice no
13 Marzo 2025

Poi, a parlare al posto di Putin, è il suo consigliere per la politica estera Jurij Ushakov. In prima battuta, dice che «le misure che imitano le azioni pacifiche in Ucraina non servono a nessuno» e che questa non è «altro che una tregua temporanea per l’esercito ucraino, niente di più». In seguito, attenua un po’ la sua retorica: «Il documento, mi sembra, è frettoloso. Dovremo lavorare e tenere conto anche della nostra posizione. Viene presentato solo l’approccio ucraino». Putin parla soltanto in serata durante una breve conferenza stampa congiunta col presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko seguita alla firma di vari documenti per rafforzare lo Stato dell’Unione e lo «spazio di difesa comune» tra Mosca e Minsk. E anche il contesto è importante tanto quanto le parole e i silenzi: nei piani di Putin, l’Ucraina deve diventare un altro Stato vassallo come la Bielorussia appositamente esibita a mo’ di esempio.
Memore dello scontro nello Studio Ovale, quando Trump e il vice JD Vance se la presero con l’ucraino Volodymyr Zelensky per non i mancati ringraziamenti, Putin «prima di tutto» esprime la sua «gratitudine» a Trump «per aver dedicato così tanta attenzione alla soluzione in Ucraina», ma ricorda anche le iniziative di pace di Cina, India, Brasile e Sudafrica. Della tregua dice: «Siamo d’accordo con le proposte di cessazione delle ostilità, ma partiamo dal presupposto che tale cessazione dovrebbe portare a una pace duratura ed eliminare le cause originarie della crisi». Lascia intendere che una pausa sarebbe una manna per le forze ucraine che a Kursk hanno solo due opzioni: «arrendersi o morire».
«Anche noi siamo favorevoli, ma con alcune sfumature». Solo a patto di avere garanzie che l’Ucraina non conduca ulteriori mobilitazioni, non addestri truppe mobilitate, non riceva nuove armi occidentali. «Come saremo garantiti che non accadrà nulla del genere? Come verrà organizzato il controllo e la verifica» del cessate il fuoco lungo 2mila chilometri di linea del fronte? «Sono tutte domande che richiedono una ricerca attenta da entrambe le parti». «Sì, ma…». Un colpo al cerchio e uno alla botte. Putin sfrutta anche le domande dei giornalisti per ricordare che le sanzioni sono state «un vaccino di indipendenza e sovranità» e che «se gli Usa e la Russia concordassero di cooperare nel settore energetico, allora si potrebbe realizzare un gasdotto verso l’Europa, e questo andrebbe a vantaggio dell’Europa, perché riceverebbe gas russo a basso costo». Come a rispondere alle velate minacce “finanziarie” di Trump.
È chiaro che Putin vuole evitare che un netto rifiuto faccia saltare il tavolo con Washington, ma anche che l’intesa di Gedda non gli piace. Per lui qualsiasi cessate-il-fuoco deve essere legato a un accordo che soddisfi le sue richieste: il riconoscimento dei territori annessi, un’Ucraina amica demilitarizzata e fuori dalla Nato, la revoca delle sanzioni. Che l’Ucraina diventi un’altra Bielorussia. Tutte condizioni da sollevare a porte chiuse con Witkoff intanto arrivato a Mosca. Quando? «Witkoff verrà convocato al Cremlino quando Putin darà il segnale», dice Ushakov. Putin ha la palla e ha intenzione di tenersela più a lungo che può.