Assemblea Generali: cosa ci dobbiamo aspettare dal voto del prossimo 24 aprile

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Buona lettura,

Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica

Difficile dire cosa accadrà nella prossima assemblea Generali, in programma il 24 aprile 2025 e con all’ordine del giorno l’elezione del nuovo consiglio di amministrazione. Ma a guardare in controluce con la lente odierna i numeri dell’ultima assemblea, tenutasi ad aprile 2022, che portò alla riconferma dell’attuale amministratore delegato Philippe Donnet, di sicuro ci sarà un testa a testa molto più serrato tra la cordata di Mediobanca e quella di Caltagirone-Del Vecchio.

Due liste, una contro l’altra. Allora si presentarono in assemblea due liste con l’obiettivo di raccogliere la maggioranza e guidare la compagnia. La prima proposta dal cda uscente e sostenuta da Mediobanca con candidati come amministratore delegato e presidente rispettivamente Donnet e l’economista Andrea Sironi.

La seconda presentata dal gruppo Caltagirone con Luciano Cirinà come candidato ad, ai tempi manager interno di Generali con la responsabilità di Austria e Central East Europe, e il banchiere ex Goldman Sachs Claudio Costamagna come presidente.

L’unica lista di minoranza fu quella di Assogestioni che fece i nomi di Roberto Perotti, Alice Bordini, Giuseppe Guizzi e Mariarosaria Taddeo.

Una grande affluenza. Lo scontro fra le due liste era palese e vista la posta in palio, ovvero il controllo della compagnia assicurativa che gestisce 800 miliardi di euro in asset, l’affluenza fu eccezionale: depositarono le azioni per il voto il 70,6% del capitale contro il 50,5% dell’anno prima.

Chi vinse e perché. A vincere fu la lista del cda (con Mediobanca) che raccolse il 57,7% dei voti presenti, pari al 40,4% del capitale. Il risultato fu determinato da due fattori: il prestito titoli e il peso degli investitori istituzionali.

1) Il prestito titoli. Sei mesi prima dell’assemblea di aprile, Mediobanca, primo azionista con il 13,1%, sottoscrisse a settembre 2021 un prestito titoli con Bnp Paribas che gli portò in dote il 4,42% di Generali che sommato alle sue azioni le permise di salire al 17,5% in termini di diritti di voto.

2) Gli investitori istituzionali. Gli istituzionali, categoria che comprende asset manager, fondi sovrani, fondi pensione, casse di previdenza, assicurazioni, che possiedono circa il 30% del capitale di Generali, votarono in blocco per la lista del cda, spinti anche dal parere dei due principali proxy advisor al mondo.

Il consiglio di Glass Lewis. “Le circostanze attuali – scrivevano nel 2022 gli analisti di Glass Lewis, specializzati in corporate governance – impongono agli investitori di sostenere fermamente la lista di Generali per assicurare che i candidati di Caltagirone non costituiscano la maggioranza del consiglio di amministrazione in questo momento”.

L’aver rispettato i piani anche durante e nonostante la pandemia furono le ragioni di fondo che spinsero a sostenere Donnet, anche perché non veniva considerato credibile, anzi “nebuloso” il piano alternativo “Awakening the Lion” presentato da Cirinà.

Il consiglio di Iss. Anche l’altro proxy advisor Iss prendeva in considerazione i risultati del management giudicati “ampiamente in linea con i concorrenti e il piano strategico che appariva “ragionevole”, perché basato su quelli precedenti, mentre quello di Cirinà risultava più ambizioso, ma difficile da realizzare e più rischioso.

Inoltre specificava che, “in elezioni prive di un confronto tra due liste di maggioranza”, avrebbe sostenuto “la lista Assogestioni”, mentre in questo caso “gli azionisti dovrebbero concentrarsi su quale delle liste di maggioranza è più adatta a garantire la creazione di valore a lungo termine”. E nel 2022 consigliarono la lista del cda.

Il patto con i fondi. Mossi da queste considerazioni colossi internazionali del calibro di Blackrock, Vanguard, Fidelity, Nordea e altri votarono per la lista del cda, seguiti anche da molti fondi italiani come Eurizon (gruppo Intesa), Anima e Banco Poste.

Si schierarono con Donnet pure Bpn Paribas, Axa, Allianz, Amundi, competitor di Generali, ma legati da un patto non scritto fra assicuratori di non votare l’uno contro il rinnovo dei vertici dell’altro nelle rispettive assemblee.

Il peso dei fondi. Se si considera che nel 2022 la lista del cda ha raccolto il 40,4% del capitale e se si toglie la quota di Mediobanca, compreso il prestito titoli (17,5%), quella di De Agostini (1,4%) e di altri azionisti il peso dei fondi è stato più o meno del 20%.

La lista Caltagirone. L’altra lista di maggioranza, invece, catalizzò il 41,63% dei voti presenti in assemblea, pari al 29,1% del capitale di Generali, raccogliendo oltre al 9,9% che Caltagirone aveva allora, il supporto della famiglia Benetton (4,8%), della famiglia Del Vecchio (Delfin col 9,8%), della Cassa forense (1%), delle Fondazioni di Alessandria, Parma, Torino (intorno al 2%) e di altri.

La lista di minoranza. Alla lista di Assogestioni non rimase che un misero1,9%, perché molti fondi, di fronte allo scontro tra due liste di maggioranza, decisero di schierarsi, seguendo anche le indicazioni dei proxy non per la lista più vicina a loro, ma per una delle due contendenti.

Il risultato. Con questa votazione, la lista del cda ha eletto l’amministratore delegato Donnet, il presidente Sironi e 8 consiglieri di maggioranza (Alessia Falsarone, Clara Furse, Umberto Malesci, Antonella Mei-Pochtler, Diva Moriani, Lorenzo Pellicioli, Clemente Rebecchini, Luisa Torchia), mentre alla lista Caltagirone sono andati i 3 posti relativi alle minoranze (Francesco Gaetano Caltagirone, poi dimessosi e sostituito da Stefano Marsaglia, Flavio Cattaneo e Marina Broggi).

Assogestioni è rimasta a bocca asciutta, perché non ha superato la soglia del 5%.

Cosa cambia oggi. L’assemblea in arrivo il prossimo 24 aprile presenta due differenze sostanziali con il 2022. 1) Non esiste la lista del cda, perché le regole introdotte dal governo Meloni hanno di fatto reso impossibile e sconveniente presentarla e 2) ci sarà una sola lista di maggioranza, quella di Mediobanca, che presenta 13 candidati (tanti quante le poltrone in gioco) e i nomi dei possibili ad e presidente (sempre Donnet e Sironi).

Le liste di minoranza saranno due: quella di Caltagirone che questa volta dovrebbe presentare una lista corta con sei nominativi, senza designare un possibile ad, e quella di Assogestioni, con 3 o 4 candidati.

Cosa serve per vincere. Di fronte a questo scenario e ipotizzando una affluenza come all’ultima assemblea, pari al 70%, a Mediobanca servirà il 35% più un’azione del capitale per vincere.

Dati alla mano. Nel 2022 Mediobanca aveva raccolto il 40,4%, ma se a questa quota togliamo il prestito titoli che ad oggi non è stato ancora annunciato (4,4%), la quota di De Agostini venduta sul mercato (1,4%) e riteniamo che verosimilmente la partecipazione di Unicredit (5,2%) sia da sottrarre ai fondi, perché comprata sul mercato, Mediobanca scende al 29,4% che si confronta con il 29,1% realizzato dalla lista Caltagirone nel 2022, a patto che la famiglia Benetton confermi il suo appoggio.

L’ago della bilancia. Sarebbe di fatto un testa a testa con le scelte determinanti di UniCredit e Benetton, senza contare che alcuni fondi che allora hanno votato la lista del cda (Banco Poste, Anima e altri) possano oggi avere simpatie diverse e in assenza di due liste di maggioranza questa volta schierarsi con Assogestioni che come aveva sostenuto Iss sarebbe per loro la scelta più naturale.

I due scenari. 1) Se vincesse Mediobanca, verrebbero assegnati 10 posti ai vincitori e 3 divisi tra le liste di minoranza. E la società sarebbe facilmente governabile. 2) Ma se invece dovesse vincere una lista di minoranza, ipotizziamo Caltagirone, a loro spetterebbero 6 posti per tutti i consiglieri candidati, mentre i restanti 7 verrebbero divisi tra le altre due liste in modo proporzionale in base ai voti ottenuti.

Generali si troverebbe senza una maggioranza definita (7 su 13) e si creerebbe uno stallo nella governance del gruppo, perché non sarebbe facile trovare l’accordo sul nome del nuovo amministratore delegato, qualora fosse necessario anche un solo voto di una lista diversa da quella vincente.

E in ogni modo la governabilità sarebbe compromessa perché nessun amministratore delegato riuscirebbe a guidare un board così diviso.

In attesa dell’uomo del Monte. Il tutto, almeno in attesa che da lì a fine giugno o a inizio luglio parta l’Ops di Monte dei Paschi su Mediobanca che nel caso di vittoria della banca senese regolerebbe anche la partita in Generali.

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