A pochi mesi dall’apparizione del luglio scorso, in occasione della finale del campionato libico ospitata dall’Italia, a Roma torna a farsi vedere Abdel Ghani al-Kikli. Meglio conosciuto come Gheniwa, dal 2021 è il capo dello Stability Support Apparatus, milizia attiva a terra e a mare, per l’Onu “ripetutamente coinvolta in violazioni e abusi” e per il dipartimento di Stato Usa responsabile di “crimini contro l’umanità nelle prigioni di Ayn Zarah e Abu Salim”.
A differenza di Al Masri, il comandante libico che la Cpi avrebbe voluto in cella e l’Italia ha rapidamente liberato e riportato a casa, al momento non si sa se lui sia fra ufficiali e comandanti libici che la Corte vorrebbe in manette e i cui nomi, per evidenti ragioni investigative, sono ancora coperti da segreto. Ma contro di lui, pende una denuncia di 189 pagine presentata da Ecchr alla Corte penale internazionale, in cui viene accusato di almeno 501 episodi di torture, stupri, omicidi e sparatorie.
A Roma, Gheniwa è arrivato insieme ad altri alti papaveri del governo libico, inclusi ambasciatori e ministri, per far visita a Adel Juma, ministro libico degli Affari Interni, a metà febbraio ferito in un attentato e qualche settimana dopo trasferito in un ospedale romano per ricevere cure mediche. Secondo le prime indiscrezioni, diffuse dal dissidente libico Husam El Gomati, uno degli spiati del cosiddetto caso Paragon, il gruppo sarebbe arrivato a Fiumicino a bordo di un aereo privato, atterrato attorno alle 18 a Fiumicino e subito si sarebbe diretto in ospedale. A diffondere immagini dell’incontro sono stati gli stessi partecipanti, che non hanno esitato a diffonderle sui social network.
Non è la prima volta che Gheniwa approda in Italia. A luglio si era personalmente presentato per supportare l’Al Ahly club, una delle sei squadre finaliste del campionato libico invitate in Italia, che secondo l’ultimo report del panel of experts dell’Onu di fatto dirige e controlla. Ma in relazioni e denunce delle Nazioni Unite, quello del comandante libico è un nome ricorrente fin dal 2014. All’epoca era al comando di una milizia che si è macchiata di centinaia di episodi di torture, abusi, omicidi, detenzioni arbitrarie, stupri.
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Da Abu Salim, nella cintura urbana di Tripoli, rapidamente – hanno denunciato negli anni diverse agenzie delle Nazioni Unite – negli anni ha anche esteso il suo potere, finendo per controllare direttamente diversi centri di detenzione, fra cui quello di Maya. Un buco nero in cui nessuno, neanche l’Onu con i suoi esperti riesce a entrare. Secondo Libya Crimes Watch da lì sarebbero passate almeno 1.800 persone, tutto o quasi – denunciano Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani – sarebbero state vittima di violenze e abusi. È uno dei nodi del traffico di esseri umani in cui l’Ssa – denunciano da anni gli esperti delle Nazioni Unite – è attore di primo piano.
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“La missione – si legge nel report del 2023 – ha trovato fondati motivi per ritenere che personale di alto rango della Guardia costiera libica, dello Stability Support Apparatus e della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale abbiano collaborato con trafficanti e contrabbandieri, che sarebbero collegati a gruppi di miliziani, nel contesto dell’intercettazione e della privazione della libertà dei migranti” e che “abbiano chiesto e ricevuto un pagamento per il rilascio dei migranti”. La Ssa, specificano, ha avuto “un ruolo particolarmente significativo” in materia di “violazione dei diritti umani e crimini contro l’umanità” soprattutto “attraverso la sua cooperazione con la Guardia costiera libica a Zawiyah e il controllo dei centri di detenzione di Abu Salim e Ayn Zarah”. E ci ha guadagnato, anche tanto. “Il traffico, la schiavitù, il lavoro forzato, la prigionia, l’estorsione e il contrabbando hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali”.