BANGKOK – In Myanmar si continua a scavare tra i resti degli edifici crollati, dopo che il terremoto di magnitudo 7.7 ha messo in ginocchio venerdì il Paese del sud-est asiatico. Sono 1.644 i corpi estratti dalle macerie finora, secondo l’ultimo bilancio ufficiale diramato dalla giunta militare al potere. Ma l’intensità del terremoto e l’accesso limitato alle aree più colpite dal sisma fanno temere che il numero dei morti sia molto più alto e che infrastrutture cruciali – come scuole e ospedali – siano state particolarmente danneggiate, alimentando la paura di una “strage dentro la strage”: quella dei bambini.
Mentre si muovono tra le rovine di una scuola nella regione di Mandalay, vicina all’epicentro del terremoto, i soccorritori chiedono a eventuali superstiti di urlare per segnalare la propria presenza. Ieri mattina sono stati trovati i corpi senza vita di 12 bambini e un’insegnante, mentre altri 50 minori e sei docenti sarebbero ancora intrappolati. Ma con il passare del tempo le possibilità sopravvivenza si fanno sempre più scarse. Anche a Taungoo, nel Myanmar centrale, prosegue la corsa contro il tempo per trovare i 20 bambini dispersi dopo il crollo di un monastero che ospitava minori sfollati a causa della guerra civile. Secondo i media locali, cinque di loro e un novizio hanno perso la vita nel terremoto. Degli altri, non si hanno notizie.
«La nostra priorità, ora, è verificare se vi siano scuole colpite e bambini in condizioni critiche», racconta a Repubblica Stefano Piziali, direttore generale della fondazione Cesvi presente in Myanmar da anni con programmi di educazione di emergenza e di supporto alla popolazione più vulnerabile. «Si tratta – aggiunge – di una delle catastrofi naturali peggiori degli ultimi anni, con l’aggravante che ha colpito un territorio già fragile e attraversato da conflitti interni».
Dal colpo di stato militare del febbraio 2021, il Myanmar ha visto oltre 3,2 milioni di sfollati, di cui – secondo i dati dell’Unicef – circa il 40% sono bambini. Tra i 18,6 milioni di persone che necessitano di assistenza, almeno 6 milioni sono minori. In un contesto così fragile e segnato dalla violenza, i bambini diventano spesso vittime di reclutamenti forzati, sfruttamento da parte delle fazioni in conflitto e matrimoni forzati. «È fondamentale garantire che i bambini vengano riuniti ai loro genitori o, nel caso in cui questi non fossero sopravvissuti al terremoto, ai familiari superstiti che possano prendersi cura di loro», spiega da Yangon, l’ex capitale nel sud del Myanmar, Marco Corsi rappresentante dell’Unicef nel Paese. «È nostro compito proteggerli e fornire loro tutto il supporto materiale e psicologico possibile».
Le operazioni di soccorso, tuttavia, affrontano ostacoli immensi: i danni alle linee elettriche e ai ponti di telefonia, insieme alle strade bloccate e ai ponti distrutti, rendono estremamente difficile raggiungere le aree colpite per ricevere informazioni più precise e fornire l’aiuto necessario. Questo, insieme all’intensità del terremoto, fa pensare a un numero molto più alto di vittime e dispersi rispetto a quello fornito dalla giunta militare. Al punto che, secondo le stime elaborate dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, il bilancio delle vittime alla fine supererà i 10mila morti.
«Quanta sofferenza…», scrive una ragazza di Yangon che chiede di rimanere anonima. A partire dalle 5:00 di ieri mattina, ciascuno dei sei gruppi di comuni nella sua regione ha avuto accesso all’elettricità per appena quattro ore, a rotazione. A parte i danni alla rete elettrica e alcuni edifici crollati, la sua città è stata solo marginalmente colpita dalla scossa, ma i suoi amici a Mandalay hanno perso tutto e non hanno più una casa. «Sono rimasti sepolti sotto le macerie, ma per fortuna sono solo rimasti feriti. Ora sono per strada e soffrono moltissimo».
Gli ospedali del Paese, già poco attrezzati e con strumentazioni inadeguate, sono al collasso e si rischia un’emergenza sanitaria. Ieri sono arrivati i primi aiuti da Cina, Russia, India, Europa e Onu. Ma nelle zone più vicine all’epicentro sono necessarie strutture adeguate per tenere i feriti all’aperto, vista la paura che arrivi un’altra violenta scossa. Ieri, infatti, in Myanmar la terra ha continuato a tremare. Piccole scosse di assestamento, ma la gente per paura è tornata a riversarsi per strada.